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INDICE DELLE FONTI
Ammiano Marcellino Res gestae a fine Corneli Taciti - lib. XV, 7, 1-10
Anonimo Ravennate Cosmographia - lib. IV, 31, pp. 258-259, Pinder - Parthey
Apicio De re coquinaria - IV, I, 2
Catullo Carmina Catulli - lib. III cap. 114
Cesare De bello civili - lib. I cap. XI
Cesare De bello civili - lib. I cap. XV
Cesare De bello civili - lib. I cap. XVI
Cicerone Brutus - 169
Cicerone Epistulae ad Atticum - lib. IV, 8, 3
Cicerone Epistulae ad familiares - lib. XVI, 12
Cicerone Orationes in Catilinam - II, 26
Edictum de pretiis rerum venalium - II, 1
Floro Epitomae Historiae Romanae Flori - lib. I, 19, 1
Gelasio I 0152 B
Gelasio I Epistola 30
Giulio Ossequente Prodigiorum Liber - p. 172, Rossbach
Gregorio Magno
Guidone Geographica - 21, p. 462, Pinder - Parthey
Guidone Geographica - 69-70, pp. 504-505, Pinder - Parthey
Historia Augusta - Tyranni triginta, 24, 5
Itinerarium Maritimum
Liber Coloniarum - 227, 1-16
Liber Coloniarum - lib. II, p. 257 L
Livio Ab Urbe condita - lib. XXVII cap.10
Livio Ab Urbe condita - lib. XXXIV, 44
Livio Ab Urbe condita - lib. XLI cap.1
Livio Ab Urbe condita - lib. XLI, 27
Marziale Epigrammi - lib. I, 43
Marziale Epigrammi - lib. IV, 46
Marziale Epigrammi - lib. IV, 88
Marziale Epigrammi - lib. V, 78
Marziale Epigrammi - lib. VII, 53
Marziale Epigrammi - lib. IX, 54
Marziale Epigrammi - lib. XI, 52
Marziale Epigrammi - lib. XIII, 35
Marziale Epigrammi - lib. XIII, 36
Marziale Epigrammi - lib. XIII, 47
Orazio Sermones - lib. II, 3, 264-273
Orazio Sermones - lib. II, 4, 70-71
Orosio Historiarum adversus paganos libri septem - lib. IV, 4
Paolo Diacono Historia Langobardorum - lib. II, 19
Paolo Diacono Historia Langobardorum - lib. II, 20
Paolo Diacono Historia Langobardorum - lib. VI, 49
Plinio il Giovane Lettere ai familiari - lib. VI, 18
Plinio il Vecchio Naturalis Historia - lib. II, 182
Plinio il Vecchio Naturalis Historia - lib. II, 226
Plinio il Vecchio Naturalis Historia - lib. III, 38
Plinio il Vecchio Naturalis Historia - lib. III, 111
Plinio il Vecchio Naturalis Historia - lib. III, 112
Plinio il Vecchio Naturalis Historia - lib. III, 115
Plinio il Vecchio Naturalis Historia - lib. III, 129
Plinio il Vecchio Naturalis Historia - lib. VI, 218
Plinio il Vecchio Naturalis Historia - lib. XV, 4, 15-18
Plinio il Vecchio Naturalis Historia - lib. XXVII, 3, 83
Procopio Bellum Gothium - lib. I, 15
Procopio Bellum Gothium - lib. II, 7
Procopio Bellum Gothium - lib. II, 10
Sallustio De coniuratione Catilinae - 27
Sallustio De coniuratione Catilinae - 30
Sallustio De coniuratione Catilinae - 42
Sallustio De coniuratione Catilinae - 57
Siculo Flacco De condicionibus agrorum - p. 100, Thulin
Silio Italico Punica - lib. V, 208-215
Strabone Geografia - lib. V, 4, 2
Tacito Annales - lib. III cap.9
Valerio Massimo Factorum et Dictorum memorabilium libri novem - lib. IX, 15, 1
Velleio Historiae Romanae ad M. Vinicium libri duo - lib. I, 14, 7-8
Velleio Historiae Romanae ad M. Vinicium libri duo - lib. I, 15, 1-3
Velleio Historiae Romanae ad M. Vinicium libri duo - lib. II, 15, 1-2
Velleio Historiae Romanae ad M. Vinicium libri duo - lib. II, 21, 1-2
Velleio Historiae Romanae ad M. Vinicium libri duo - lib. II, 29, 1
Vitruvio De Architectura - lib. II, VII, 1
Strabone: Geografia - lib. V, 4, 2;
Testo in greco momentaneamente non disponibile
"Dopo le città dell'Umbria situate tra Ariminum ed Ancona, c'è il Piceno. I Picentini emigrarono dalla Sabina, sotto la guida di un picchio che aveva mostrato la via ai loro primi capi. Di qui il loro nome: chiamano infatti picus questo uccello e lo considerano sacro ad Ares.
Essi, a cominciare dalle montagne, abitano fino alle pianure e al mare ed hanno accresciuto in lunghezza più che in larghezza il loro territorio, fertile per tutte le colture, ma più favorevole per gli alberi da frutto che per i cereali.
La sua lunghezza, tra le montagne e il mare, è variabile misurata da punti diversi; la sua lunghezza, dal fiume Aesis (Esino) fino a Castrum (Castrum Novum, l'odierna Giulianova), è di ottocento stadi (uno stadio corrisponde a circa 185 m).
Le sue città sono Ancona, città di origine greca, fondata dai Siracusani che fuggivano la tirranide di Dionisio; giace su un promontorio che, con la sua curvatura verso settentrione, circoscrive un porto; produce vino e grano in gran quantità.
Vicino ad essa c'è la città di Auximum, a breve distanza dal mare. Poi vengono Septempeda, Pneuentia (questo nome non è altrimenti conosciuto; si pensa che Strabone abbia scritto piuttosto "Pollentia", oggi Urbisaglia), Potentia, Firmum Picenum e il porto di quest'ultima, Castellum (l'odierna Porto S. Giorgio).
Segue poi il santuario di Cupra, fondato e costruito dai Tirreni: essi chiamano Era col nome di Cupra; poi c'è il fiume Truentus e la città da cui prende il nome (il fiume è l'odierno Tronto; la città è Castrum Truentinum, l'odierna San Benedetto che sorgeva sulla collina dove si trova Civita, nei pressi di Colonella, sulla riva destra del Tronto), poi Castrum Novum e il fiume Matrinus (probabilmente Piomba), che discende dalla città degli Adriani, Hadria (l'odierna Atri), ed ha un porto da cui prende nome (l'odierno Porto d'Atri). Si trova nell'interno così come Asculum Picenum, che gode di ottime difese naturali grazie alla collina su cui si ergono le mura e ai monti tutt'intorno che non sono accessibili agli eserciti.
Oltre il Piceno c'è il territorio dei Vestini, dei Marsi, dei Peligni, dei Marrucini, dei Ferrentani, di stirpe sannitica. Essi occupano la zona montagnosa ed hanno solo piccoli accessi al mare. Si trattadi popoli deboli numericamente, ma assai coraggiosi e che spessohanno dato dimostrazione ai Romanidel loro valore: un prima volta quando erano in guerra contro di essi, la seconda combattendo insieme a loro, la terza quando, chiedendo di ottenere la libertà e la cittadinanza, non avendola ottenuta, si ribellarono e dichiararono la così detta guerra Marsi, proclamando Corfinium, la metropoli dei Peligni, comune a tutti gli Italici al posto di Roma e facendone la base delle operazioni di guerra dopo aver sostituito il suo nome con quello di Italica; avendo riunito là in assemblea tutti quelli che stavano dalla loro parte avevano eletto consoli e pretori. Continuarono a combattere per due anni fino a che ottennero quella comunanza di diritti per cui avevano combattuto. La guerra fu detta Marsica da quelli che avevano iniziato la sommossa, Pompedio in primo luogo.
Tutti gli altri popoli vivono sparsi in villaggi, ma possiedono anche alcune città, all'interno rispetto al mare; così Corfinium, Sulmona, Maruvium e Teate, la città più importante dei Marrucini.
Proprio sul mare c'è invece Aternum (l'odierna Pescara), che confina col Piceno, omonima al fiume che fa da confine col territorio dei Vestini e dei Marrucini. Scorre infatti dalla regione di Amiternum (città della regio IV sulla riva sinistra del fiume Aterno, a pochi chilometri dall'Aquila, da non confondere con Amiternum, l'odierna Teramo) attraverso il territorio dei Vestini, lasciando sulla destra quello dei Marrucini, situato oltre quello dei Peligni; può essere attraversato con un ponte di barche. La città, che ha lo stesso nome del fiume, appartiene ai Vestini, ma serve da porto anche ai Peligni e ai Marrucini. Il ponte di barche è a 24 stadi da Corfinium.
Dopo Aternum c'è Ortona, porto dei Frentani e Buca, anche questa dei Frentani, che è vicina a Teanum Apulum.
[Nel territorio dei Frentani c'è Ortonio, vale a dire alcuni scogli che appartengono ai pirati le cui abitazioni sono fabbricatecon i resti dei naufragi ed anche per il resto sono simili a bestie.]
Tra Ortona ed Aternum c'è il fiume Sagrus, che separa i Frentani dai Peligni. Il tragitto per mare dal Piceno al territorio degli Apuli chiamati dai Greci Dauni, è circa 490 stadi."
(Traduzione di A. M. Biraschi)
Tito Livio: Ab Urbe Condita - lib. XLI cap.1
"* * * a patre in pace habitam armasse eoque iuuentuti praedandi cupidae pergratus esse dicebatur. consilium de Histrico bello cum haberet consul, alii gerendum extemplo, antequam contrahere copias hostes possent, alii consulendum prius senatum censebant. uicit sententia, quae diem non proferebat. profectus ab Aquileia consul castra ad lacum Timaui posuit; imminet mari is lacus. eodem decem nauibus C. Furius duumuir naualis uenit. aduersus Illyriorum classem creati duumuiri nauales erant, qui tuendae uiginti nauibus maris superi orae Anconam uelut cardinem haberent; inde L. Cornelius dextra litora usque ad Tarentum, C. Furius laeua usque ad Aquileiam tueretur. eae naues ad proximum portum in Histriae fines cum onerariis et magno commeatu missae, secutusque cum legionibus consul quinque ferme milia a mari posuit castra. in portu emporium breui perfrequens factum, omniaque hinc in castra supportabantur. et, quo id tutius fieret, stationes ab omnibus castrorum partibus circumdatae sunt: in Histriam uersum praesidium statiuum, repentina cohors Placentina opposita; inter mare et castra et, ut idem aquatoribus ad fluuium esset praesidium, M. Aebutius tribunus militum secundae legionis duos manipulos militum ducere iussus est; T. et C. Aelii tribuni militum legionem tertiam, quae pabulatores et lignatores tueretur, uia, quae Aquileiam fert, duxerant. ab eadem regione mille ferme passuum castra erant Gallorum: Catmelus regulus praeerat tribus haud amplius milibus armatorum."
"* * * si diceva che avesse amato il suo popolo che il padre aveva voluto tenere in pace e che per questo fosse molto popolare presso la gioventù smaniosa di far bottino. Quando il console tenne il consiglio di guerra sulla strategia da adottare nella guerra contro gli Istri, alcuni erano dell'avviso che si dovesse attaccare subito prima che il nemico potesse radunare le proprie forze, altri ritenevano che si dovesse prima sentire il parere del senato. Finì col prevalere il parere di chi non accettava dilazioni. Il console partì da Aquileia e andò a porre il suo campo dove affiorano le acque del Timavo, a pochissima distanza dal mare. Qui giunse con dieci navi il duumviro navale Gaio Furio: i duumviri navali erano stati istituiti per far fronte alla flotta degli Illiri e avevano il compito di difendere con venti navi le coste del mar Adriatico: Ancona era la comune base di riferimento: a sud, fino a Taranto, la zona litoranea doveva essere difesa da Lucio Cornelio, a nord, fino ad Aquileia, da Gaio Furio. Quelle navi furono inviate, assieme ad altre da carico e con grandi quantità di rifornimenti, nel più vicino porto all'interno del territorio degli Istri; il console le seguì con le legioni e pose il campo a circa cinque miglia dal mare; nel porto in breve tempo si costituì un mercato molto ben rifornito e ogni cosa veniva recata da qui agli accampamenti. Per rendere più sicuri gli spostamenti furono istituite delle stazioni di guardia su tutti i lati dell'accampamento: in direzione dell'Istria fu posta come presidio stabile una coorte di Piacenza piuttosto raccogliticcia, tra il mare e gli accampamenti, ebbe l'incarico di offrire ugual difesa a chi si recava al fiume per far rifornimento d'acqua, il tribuno militare della seconda legione Marco Ebuzio, al comando di due manipoli. I tribuni militari Tito Elio e Gaio Elio avevano portato la terza legione sulla via di Aquileia per difendere chi andava a far foraggio e legna. Nella stessa direzione, alla distanza di circa un miglio, vi era un accampamento dei Galli; il loro capo era Catmelo, il quale aveva ai suoi ordini non più di tremila armati."
(Traduzione di G. D. Mazzocato)
Publio Cornelio Tacito: Annales o Ab excessu divi Augusti - lib. III cap.9
Piso Delmatico mari tramisso relictisque apud Anconam navibus per Picenum ac mox Flaminiam viam adsequitur legionem, quae e Pannonia in urbem, dein praesidio Africae ducebatur: eaque res agitata rumoribus ut in agmine atque itinere crebro se militibus ostentavisset. ab Narnia, vitandae suspicionis an quia pavidis consilia in incerto sunt, Nare ac mox Tiberi devectus auxit vulgi iras, quia navem tumulo Caesarum adpulerat dieque et ripa frequenti, magno clientium agmine ipse, feminarum comitatu Plancina et vultu alacres incessere. fuit inter inritamenta invidiae domus foro imminens festa ornatu conviviumque et epulae et celebritate loci nihil occultum.
Pisone, varcato l'Adriatico, lasciate le navi ad Ancona, attraversò il Piceno e quindi per la via Flaminia raggiunse una legione che dalla Pannonia si trasferiva a Roma per esser trasportata in Africa, come presidio, ed offerse materia di molti commenti per il modo con cui egli, nelle marce e durante la via, s'era spesso mostrato ai soldati. Dopo Narni, o per evitare sospetti, o perchè le decisioni dei pavidi sono sempre incerte, avviatosi prima lungo il corso della Nera, poi lungo quello del Tevere, eccitò il furore del popolo, approdando nelle vicinanze della tomba dei Cesari in un'ora del giorno in cui le rive del fiume erano piene di gente; allegri in volto vennero avanti Pisone stesso con una turba di clienti, Plancina con un seguito di donne. La casa di Pisone, vicino al foro, parata a festa, e i convitati e il banchetto e la nessuna segretezza per essere il luogo molto frequentato, tutto questo fece divampare lo sdegno dei cittadini.
(Traduzione di B. Ceva)
Itinerarium Maritimum:
De Italia
ab Ancona Iader in Dalmatia stadia DCCCL
ab Aterno Salonas in Dalmatia stadia MD
a Brundisio de Calabria sive ab Hidrunti Aulona stadia M
a Brundisio Dirrachii in Macedonia stadia MCCCC
A Salonas Sipunte stadia MD
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Sulle rotte dell'Italia
Da Ancona a Zara in Dalmazia 850 stadi
Dal fiume Aterno a Salona in Dalmazia 1.500 stadi
Da Brindisi in Calabria o da Otranto a Valona 1.000 stadi
Da Brindisi a Durazzo in Macedonia 1.400 stadi
Da Salona a Siponto 1.500 stadi
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Plinio il Vecchio: Naturalis Historia - lib. III, 111;
"Cupra oppidum, Castellum Firmanorum, et super id colonia Asculum, Piceni nobilissima. Intus Novana; in ora Cluana, Potentia, Numana a Siculis condita, ab iisdem colonia Ancona, adposita promunturio Cunero in ipso flectentis se orae cubito, a Gargano CLXXXIII. Intus Auximates, Beregrani, Cingulani, Cuprenses cognomine Montani, Falerienses, Pausulani, Planinenses, Ricinenses, Septempedani, Tolentinates, Traienses, Urbesalvia Pollentini."
"(Ci sono) la città di Cupra, Castellum Firmanorum, e sopra di essa (si trova) la colonia di Ascoli, la più nobile del Piceno. All'interno (si trova) Novana; sul litorale c'è Cluana, Potenza, Numana fondata dai Siculi, (fondata) dai medesimi c'è la colonia di Ancona collocata sul promontorio del Conero, rivolta verso il mare nello stesso gomito, (distante) dal Gargano 183 miglia. All'interno ci sono gli abitanti di Auximum, di Beregra, di Cingulum, gli abitanti di Cupra soprannominati Montani, gli abitanti di Falerio, di Pausulae, di Planina, di Ricina, di Septempeda, di Tolentinum, di Trea e gli abitanti di Urbs Salvia."
(Traduzione di Patrizio D.)
Marco Velleio Patercolo: Historiae Romanae ad M. Vinicium libri duo - lib. II, 21, 1-2;
"Dum bellum autem infert patriae Cinna, Cn. Pompeius, Magni pater, cuius praeclara opera bello Marsico praecipue circa Picenum agrum. ut praescripsimus, usa erat res publica quique Asculum ceperat, circa quam urbem, cum in multis aliis regionibus exercitus dispersi forent, quinque et septuaginta milia civium Romanorum. Amplius sexaginta Italicorum una die conflixerant, frustratus spe continuandi consulatus ita se dubium mediumque partibus praestitit, ut omnia ex proprio usu ageret temporibusque insidiari videretur, et huc atque illuc, unde spes maior adfulsisset potentiae, sese exercitumque deflecteret."
"Mentre Cinna portava guerra alla propria patria, Cn. Pompeo (Strabo), padre di Pompeo Magno, della cui eccellente opera, come abbiamo detto sopra, la repubblica si era giovata in occassione della guerra marsica, particolarmente nel territorio piceno, e che aveva conquistato Ascoli (nell'anno 89 a.C.) - nei pressi di questa città, per quanto i nostri eserciti fossero dispersi in molte altre regioni, settantacinquemila cittadini romani e più di sessantamila italici si erano scontrati in un sol giorno -, abbandonato dalla speranza di una proroga del consolato si mostrò incerto ed equidistante nei confronti delle due parti: al punto che faceva tutto secondo il proprio interesse, dava l'impressione di spiare tutte le occassioni a lui favorevoli e si volgeva, lui e il suo esercito, ora da questa ora da quella parte, dove più grande fosse la speranza di potere."
(Traduzione di R. Nuti)
Marco Velleio Patercolo: Historiae Romanae ad M. Vinicium libri duo - lib. II, 15, 1-2;
"Mors Drusi iam pridem tumescens bellum excitavit Italicum; quippe L. Caesare et P. Rutilio consulibus abhinc annos centum viginti, universa Italia, cum id malum ab Asculanis ortum esset (quippe Servilium praetorem Fonteiumque legatum occiderant) ac deinde a Marsis exceptum in omnis penetrasset regiones, arma adversus Romanos cepit.
Quorum ut fortuna atrox, ita causa fuit iustissima: petebant enim eam civitatem, cuius imperium armis tuebantur: «per omnis annos atque omnia bella duplici numero se militum equitumque fungi neque in eius civitatis ius recipi, quae per eos in id ipsum pervenisset fastigium, per quod homines eiusdem et gentis et sanguinis ut externos alienosque fastidire posset»."
"La morte di Druso provocò lo scoppio della guerra italica che già da tempo covava. Centoventi anni or sono, quando erano consoli L. Cesare e P. Rutilio (nell'anno 90 a.C.), tutta l'Italia impugnò le armi contro Roma. La rivolta fu originata dagli Ascolani, che avevano ucciso il pretore Servilio e il suo luogotenente Fonteio e, sucessivamente, proseguita dai Marsi si estese a tutte le regioni. Come di quelle popolazioni fu atroce il destino, così senza dubbio giusta era la loro causa. Chiedevano infatti di essere parte di quella città della quale difendevano con le armi il dominio: «Si sobbarcavano ogni anno, per ogni guerra a un duplice contributo di fanti e di cavalieri, senza venire ammessi a godere del diritto di quella città che, grazie a loro, era giunta proprio all'apice di una potenza che le permetteva di disprezzare come nemici e come stranieri uomini della stessa razza e dello stesso sangue»."
(Traduzione di R. Nuti)
Marco Velleio Patercolo: Historiae Romanae ad M. Vinicium libri duo - lib. I, 15, 1-3;
"Deinde neque dum Hannibal in Italia moratur, neque proximis post excessum eius annis vacavit Romanis colonias condere, cum esset in bello conquirendus potius miles quam dimittendus et post bellum vires refovendae magis quam spargendae. Cn. autem Manlio Voisone et Fulvio Nobiliore consulibus Bononia deducta colonia abhinc annos ferme ducentos septendecim, et post quadriennium Pisaurum ac Potentia interiectoque triennio Aquileia et Gravisca et post quadriennium Luca.
Eodem temporum tractu, quamquam apud quosdam ambigitur, Puteolos Salernumque et Buxentum missi coloni, Auximum autem in Picenum abhinc annos ferme centum octoginta quinque, ante triennium quam Cassius censor a Lupercali in Palatium versus theatrum facere instituit, cui in eo moliendo eximia civitatis severitas et consul Scipio restitere, quod ego inter clarissima publicae voluntatis argumenta numeraverim."
"In seguito, né durante la permanenza di Annibale in Italia, né durante gli anni immediatamente succesivi alla sua partenza (avvenuta sul finire dell'anno 203 a.C.), i Romani ebbero la possibilità di fondare colonie, dal momento che e nel corso della guerra si doveva trovare da ogni parte soldati piuttosto che congedarli e, dopo la gurra, si doveva rinsaldare le forze più che disperderle. Tuttavia sotto il consolato di Cn. Manlio Volsone e Fulvio Nobiliore, circa duecentodiciasette anni or sono, si fondò la colonia di Bologna (vale a dire nell'anno 187 a.C.), quattro anni dopo (nell'anno 183 a.C.) quelle di Pesaro e di Potenza Picena, tre anni dopo quelle di Aquileia e Gravisca e quattro anni dopo quella di Lucca. Nel medesimo arco di tempo, sebbene da parte di alcuni autori se ne duiti, furono inviati coloni a Pozzuoli, Salerno e Busento, a Osimo nel Piceno centoottantasette anni or sono (nell'anno 157 a.C.), tre anni prima che il censore Cassio cominciasse a costruire un teatro nella zona che va dal Lupercale al Palatino; a questa costruzione si opposero la straordinaria austerità della cittadinanza e il console Cepione, cosa che io non esiterei ad annoverare tra le manifestazioni più significative della volontà della plebe."
(Traduzione di R. Nepi)
Tito Livio: Ab Urbe Condita - lib. XLI, 27 (testo con lacune);
“Censores eo anno creati Q. Fuluius Flaccus et A. Postumius Albinus legerunt senatum; princeps lectus M. Aemilius Lepidus pontufex maximus. De senatu novem eiecerunt; insignes notae fuerunt M. Corneli Maluginensis, qui biennio ante praetor in Hispania fuerat, et L. Corneli Scipionis praetoris, cuius tum inter ciuis et peregrinos iurisdictio erat, et L. Fulvi, qui frater germanus et, ut Valerius Antias tradit, consors etiam censoris erat. Consules votis in Capitolio nuncupatis in provincias profecti sunt. Ex iis M. Aemilio senatus negotium dedit, ut Patavinorum in Venetia seditionem conprimeret, quos certamine factionum ad intestinum bellum exarsisse et ipsorum legati attulerant. Legati, qui in Aetoliam ad similis motus conprimendos ierant, renuntiarunt coerceri rabiem gentis non posse. Patavinis saluti fuit adventus consulis; neque aliud, quod ageret in provincia, cum habuisset, Romam redit. Censores vias sternendas silice in urbe, glarea extra urbem substruendas marginandasque primi omnium locaverunt, pontesque multis locis faciendos; et scaenam aedilibus praetoribusque praebendam; <et> carceres in circo, et ova ad no<tas> curriculis numerand<is> * * * dam, et metas trans * * * et caveas ferreas, pe<rquas> intromitterentur * * * feriis in monte Albano consulibus, et clivom Capitolinum silice sternendum curaverunt, et porticum ab aede Saturni in Capitolium ad senaculum, ac super id curiam. Et extra portam Trigeminam emporium lapide straverunt stipitibusque saepserunt, et porticum Aemiliam reficiendam curarunt, gradibusque ascensum ab Tiberi in emporium fecerunt. Et intra eandem portam in Aventinum porticum silice straverunt, et + eo publico ab aede Veneris fecerunt. Iidem Calatiae et Auximi muros faciendos locauerunt; venditisque ibi publicis locis pecuniam, quae redacta erat, tabernis utrique foro circumdandis consumpserunt. Et alter ex iis Fulvius Flaccus – nam Postumius nihil nisi senatus Romani populive iussu se locaturum <edixit> – ipsorum pecunia Iouis aedem Pisauri et Fundis et Potentiae etiam aquam adducendam, et Pisauri viam silice sternendam, et Sinuessae maga<lia addenda> * * * aviariae, in his et clo<acas et mur>um circumducen<dum> * * * et forum porticibus tabernisque claudendum et Ianos tris faciendos. Haec ab uno censore opera locata cum magna gratia colonorum. Moribus quoque regendis diligens et severa censura fuit. Multis equi adempti.”
"I censori eletti in quell'anno, Quinto Fulvio Flacco e Aulo Postumio Albino, provvidero alla revisione delle liste senatorie; fu designato il più autorevole membro del senato nella persona del pontefice massimo Marco Emilio Lepido. Nove furono espulsi dal senato: provocarono particolare scalpore le note di biasimo con cui furono espulsi Marco Cornelio Maluginese, cui, come pretore, era stata assegnata la Spagna, il pretore Lucio Cornelio Scipione che aveva avuto in sorte la giurisdizione sulle cause tra cittadini e stranieri, e Lucio Fulvio che era fratello germano e, come testimonia Valerio Anziate, anche coerede del censore. I consoli, dopo aver pronunciato i voti solenni sul Campidoglio, partirono per raggiungere le loro zone di operazioni. Ad uno di loro, Marco Emilio, il senato affidò l'incarico di reprimere la rivolta in atto, nel territorio dei Veneti, tra i Patavini i quali erano passati da una contrapposizione tra opposte fazioni ad una vera e propria guerraintestina, come avevano riferito anche i loro legati. I legati che si erano recati in Etolia per cercare di placare simili discordie, dichiararono che non era possibile tenere a freno le rabbiose rivendicazioni di quel popolo. I Patavini riaquistarono la pace sociale grazie all'arrivo del console il quale, non avendo più nulla da fare in quella zona di operazioni, fece ritorno a Roma. I censori - furono i primi in assoluto - appaltarono i lavori di pavimentazione in pietra delle vie urbane e di consolidamento del fondo delle strade extraurbane per mezzo di ghiaia e con la costruzione di marciapiedi; appaltarono anche la costruzione, in molte località, di ponti e poi di logge per gli spettacolo riservate agli edili e ai pretori; appaltarono anche la costruzione di stalli nel circo e le uova per la conta dei giri di pista * * * e le colonnine, oltre * * * e le tribune in metallo attraverso le quali far passare * * * per le feste sul monte Albano ai consoli. Fecero poi lastricare il clivio capitolino e il portico cha va dal tempio di Saturno, in direzione del Campidoglio, fino al luogo di riunione del senato e poi fino alla Curia. I censori lastricarono anche il mercato fuori porta Trigemina recingendolo quindi con una palizzata; fecero restaurare il portico Emilio e costruirono una scalinata che consentiva di salire dal Tevere fino al mercato. All'interno della stessa porta lastricarono il portico in direzione dell'Aventino * * * fecero dal tempio di Venere. Sempre i censori appaltarono la costruzione di tratti di muro a Clazia e a Osimo; in quelle località misero in vendita i beni demaniali spendendo poi il denaro ricavato per costruire botteghe tutto attorno ai fori delle due città. Uno dei due censori, Fulvio Flacco – Postumio ebbe a dichiarare che egli non avrebbe bandito degli appalti senza un preciso decreto del senato e del popolo romano – con il denaro di questi, appaltò la costruzione di un tempio dedicato a Giove a Pesaro; a Fondi e a Potenza i lavori di costruzione di un acquedotto; a Pesaro la pavimentazione di una strada; a Sinuessa l'aggiunta di casupole * * * per gli uccelli e in esse fognature e un muro di recinzione * * * e fece chiudere il foro con portici e botteghe e costruire tre passaggi a volta. Queste opere furono appaltate da un solo dei censori con grande soddisfazione dei coloni. La censura fu molto rigorosa e attenta anche nelle misure a favore della moralità. Molti furono gli espulsi dall'ordine equestre."
(Traduzione di G. D. Mazzocato)
Strabone: Geografia - lib. V, 4, 2;
Testo in greco momentaneamente non disponibile
"Dopo le città dell'Umbria situate tra Ariminum ed Ancona, c'è il Piceno. I Picentini emigrarono dalla Sabina, sotto la guida di un picchio che aveva mostrato la via ai loro primi capi. Di qui il loro nome: chiamano infatti picus questo uccello e lo considerano sacro ad Ares.
Essi, a cominciare dalle montagne, abitano fino alle pianure e al mare ed hanno accresciuto in lunghezza più che in larghezza il loro territorio, fertile per tutte le colture, ma più favorevole per gli alberi da frutto che per i cereali.
La sua lunghezza, tra le montagne e il mare, è variabile misurata da punti diversi; la sua lunghezza, dal fiume Aesis (Esino) fino a Castrum (Castrum Novum, l'odierna Giulianova), è di ottocento stadi (uno stadio corrisponde a circa 185 m).
Le sue città sono Ancona, città di origine greca, fondata dai Siracusani che fuggivano la tirranide di Dionisio; giace su un promontorio che, con la sua curvatura verso settentrione, circoscrive un porto; produce vino e grano in gran quantità.
Vicino ad essa c'è la città di Auximum, a breve distanza dal mare. Poi vengono Septempeda, Pneuentia (questo nome non è altrimenti conosciuto; si pensa che Strabone abbia scritto piuttosto "Pollentia", oggi Urbisaglia), Potentia, Firmum Picenum e il porto di quest'ultima, Castellum (l'odierna Porto S. Giorgio).
Segue poi il santuario di Cupra, fondato e costruito dai Tirreni: essi chiamano Era col nome di Cupra; poi c'è il fiume Truentus e la città da cui prende il nome (il fiume è l'odierno Tronto; la città è Castrum Truentinum, l'odierna San Benedetto che sorgeva sulla collina dove si trova Civita, nei pressi di Colonella, sulla riva destra del Tronto), poi Castrum Novum e il fiume Matrinus (probabilmente Piomba), che discende dalla città degli Adriani, Hadria (l'odierna Atri), ed ha un porto da cui prende nome (l'odierno Porto d'Atri). Si trova nell'interno così come Asculum Picenum, che gode di ottime difese naturali grazie alla collina su cui si ergono le mura e ai monti tutt'intorno che non sono accessibili agli eserciti.
Oltre il Piceno c'è il territorio dei Vestini, dei Marsi, dei Peligni, dei Marrucini, dei Ferrentani, di stirpe sannitica. Essi occupano la zona montagnosa ed hanno solo piccoli accessi al mare. Si trattadi popoli deboli numericamente, ma assai coraggiosi e che spessohanno dato dimostrazione ai Romanidel loro valore: un prima volta quando erano in guerra contro di essi, la seconda combattendo insieme a loro, la terza quando, chiedendo di ottenere la libertà e la cittadinanza, non avendola ottenuta, si ribellarono e dichiararono la così detta guerra Marsi, proclamando Corfinium, la metropoli dei Peligni, comune a tutti gli Italici al posto di Roma e facendone la base delle operazioni di guerra dopo aver sostituito il suo nome con quello di Italica; avendo riunito là in assemblea tutti quelli che stavano dalla loro parte avevano eletto consoli e pretori. Continuarono a combattere per due anni fino a che ottennero quella comunanza di diritti per cui avevano combattuto. La guerra fu detta Marsica da quelli che avevano iniziato la sommossa, Pompedio in primo luogo.
Tutti gli altri popoli vivono sparsi in villaggi, ma possiedono anche alcune città, all'interno rispetto al mare; così Corfinium, Sulmona, Maruvium e Teate, la città più importante dei Marrucini.
Proprio sul mare c'è invece Aternum (l'odierna Pescara), che confina col Piceno, omonima al fiume che fa da confine col territorio dei Vestini e dei Marrucini. Scorre infatti dalla regione di Amiternum (città della regio IV sulla riva sinistra del fiume Aterno, a pochi chilometri dall'Aquila, da non confondere con Amiternum, l'odierna Teramo) attraverso il territorio dei Vestini, lasciando sulla destra quello dei Marrucini, situato oltre quello dei Peligni; può essere attraversato con un ponte di barche. La città, che ha lo stesso nome del fiume, appartiene ai Vestini, ma serve da porto anche ai Peligni e ai Marrucini. Il ponte di barche è a 24 stadi da Corfinium.
Dopo Aternum c'è Ortona, porto dei Frentani e Buca, anche questa dei Frentani, che è vicina a Teanum Apulum.
[Nel territorio dei Frentani c'è Ortonio, vale a dire alcuni scogli che appartengono ai pirati le cui abitazioni sono fabbricatecon i resti dei naufragi ed anche per il resto sono simili a bestie.]
Tra Ortona ed Aternum c'è il fiume Sagrus, che separa i Frentani dai Peligni. Il tragitto per mare dal Piceno al territorio degli Apuli chiamati dai Greci Dauni, è circa 490 stadi."
(Traduzione di A. M. Biraschi)
Pomponio Mela: Chorogràphia - lib. II, 4;
Claudio Tolomeo: Geografia - lib. III, 1, 52;
Plinio il Giovane: Lettere ai Familiari - lib. VI, 18;
C. PLINIUS SABINO SUO S.
Rogas ut agam Firmanorum publicam causam; quod ego quamquam plurimis occupationibus distentus adnitar. Cupio enim et ornatissimam coloniam advocationis officio, et te gratissimo tibi munere obstringere. Nam cum familiaritatem nostram, ut soles praedicare, ad praesidium ornamentumque tibi sumpseris, nihil est quod negare debeam, praesertim pro patria petenti. Quid enim precibus aut honestius piis aut efficacius amantis? Proinde Firmanis tuis ac iam potius nostris obliga fidem meam; quos labore et studio meo dignos cum splendor ipsorum tum hoc maxime pollicetur, quod credibile est optimos esse inter quos tu talis exstiteris. Vale.
GAIO PLINIO SALUTA IL SUO SABINO
Tu mi chiedi di assumere la pubblica difesa degli abitanti di Fermo; il che io, benchè gravato da molti impegni, accetterò. Desidero infatti obbligarmi con una tanto illustre colonia divenendone l'avvocato e con te pure rendendoti un servizio che ti sta a cuore. Poichè se la mia amicizia, come vai proclamando, l'hai eletta a tuo appoggio e onore, nulla io ti posso negare, soprattutto quando lo chiedi in nome della tua patria. Che v'è di più rispettabile delle preghiere di un cittadino devoto e di più efficace di quelle di un amico?
Perciò ai Fermani tuoi, e ormai anzi nostri, dà la mia parola; che essi siano degni della mia fatica e del mio zelo, me ne affida non solo la loro reputazione, ma soprattutto il fatto che debbano essere ritenuti ottimi coloro fra i quali è sorto un uomo come te. Addio.
(Traduzione di L. Rusca)
Gaio Giulio Cesare: De bello civili - lib. I cap. XVI;
"Recepto Firmo expulsoque Lentulo Caesar conquiri milites, qui ab eo discesserant, delectumque institui iubet; ipse unum diem ibi rei frumentariae causa moratus Corfinium contendit. Eo cum venisset, cohortes V praemissae a Domitio ex oppido pontem fluminis interrumpebant, qui erat ab oppido milia passuum circiter III. Ibi cum antecursoribus Caesaris proelio commisso celeriter Domitiani a ponte repulsi se in oppidum receperunt. Caesar legionibus transductis ad oppidum constitit iuxtaque murum castra posuit."
"Dopo la capitolazione di Fermo e la cacciata di Lentulo, Cesare fa ricercare i soldati che hanno disertato le file di Lentulo e ordina gli arruolamenti. Egli stesso, dopo un solo giorno di sosta per gli approvvigionamenti, marcia su Corfinio. Quando vi giunse, cinque coorti, che Domizio Marso in precedenza aveva inviato dalla città, stavano tagliando il ponte sul fiume distante dalla città circa tre miglia. Qui l'avanguardia di Cesare attaccò battaglia e in breve tempo i soldati di Domizio furono scacciati dal fiume e costretti alla ritirata in città. Cesare, fatto attraversare il fiume alle legioni, si fermò presso Corfinio e si accampò vicino alle mura."
Tito Livio: Annali - lib. X, XXVII, XLIV; Ab Urbe Condita - lib. XXVII cap.10
"Consules hortari et consolari senatum et dicere alias colonias in fide atque officio pristino fore: eas quoque ipsas quae officio decesserint si legati circa eas colonias mittantur qui castigent, non qui precentur, verecundiam imperii habituras esse. Permissum ab senatu iis cum esset, agerent facerentque ut e re publica ducerent, pertemptatis prius aliarum coloniarum animis citaverunt legatos quaesiveruntque ab iis ecquid milites ex formula paratos haberent. Pro duodeviginti coloniis M. Sextilius Fregellanus respondit et milites paratos ex formula esse, et si pluribus opus esset plures daturos, et quidquid aliud imperaret velletque populus Romanus enixe facturos; ad id sibi neque opes deesse, animum etiam superesse. consules parum sibi videri praefati pro merito eorum sua voce conlaudari [eos] nisi universi patres iis in curia gratias egissent, sequi in senatum eos iusserunt. senatus quam poterat honoratissimo decreto adlocutos eos, mandat consulibus ut ad populum quoque eos producerent, et inter multa alia praeclara quae ipsis maioribusque suis praestitissent recens etiam meritum eorum in rem publicam commemorarent. Ne nunc quidem post tot saecula sileantur fraudenturve laude sua: Signini fuere et Norbani Saticulanique et Fregellani et Lucerini et Venusini et Brundisini et Hadriani et Firmani et Ariminenses, et ab altero mari Pontiani et Paestani et Cosani, et mediterranei Beneventani et Aesernini et Spoletini et Placentini et Cremonenses. Harum coloniarum subsidio tum imperium populi Romani stetit, iisque gratiae in senatu et apud populum actae. Duodecim aliarum coloniarum quae detractaverunt imperium mentionem fieri patres vetuerunt, neque illos dimitti neque retineri neque appellari a consulibus; ea tacita castigatio maxime ex dignitate populi Romani visa est."
"I consoli cominciarono allora a esortare e a confortare il Senato, sostenendo che altre colonie si sarebbero mantenute fedeli e avrebbero ottemperato ai loro antichi doveri; se poi si fossero inviati ambasciatori presso le colonie che avevano mancato agli impegni, a recare minacce di punizione e non a implorare, anche queste stesse avrebbero mostrato il dovuto rispetto per l’autorità di Roma. Il Senato decretò dunque loro la facoltà di decidere e agire secondo quello che ritenessero l’interesse dello stato. Ed essi, sondato lo stato d’animo di altre colonie, ne convocarono gli ambasciatori, per sapere se avessero pronto il contingente di soldati, in conformità agli accordi. A nome di diciotto colonie rispose Marco Sestilio Fregellano: il contingente era pronto, secondo gli accordi; essi sarebbero stati disponibili a concedere più uomini, qualora si fosse rivelato necessario, e avrebbero risposto con il massimo impegno a qualsiasi richiesta e volontà del popolo romano. Per far ciò non mancavano certo loro i mezzi, e il coraggio era più che sufficiente.
I consoli replicarono allora dicendo che, di fronte ai loro meriti, le lodi tessute con la propria voce sarebbero state ben poca cosa, a meno che tutti i senatori non avessero reso loro grazie nella curia; ordinarono perciò di seguirli in Senato. E il Senato, decretando loro la lode più alta possibile, ordinò ai consoli che gli ambasciatori venissero accompagnati anche di fronte al popolo: fra le molte altre azioni illustri compiute in favore dei cittadini romani e dei loro antenati, dovevano venir ricordati anche i recenti meriti di queste comunità nei confronti dello stato. Neppure ora, dopo tante generazioni, i loro nomi passino sotto silenzio ed esse siano private della lode dovuta: le colonie furono quelle di Signia, Norba, Saticula, Fregelle, Luceria, Venusia, Brindisi, Hadria, Fermo e Rimini; sull’opposto versante marittimo Ponzia, Paestum e Cosa; dall’entroterra Benevento, Isernia, Spoleto, Piacenza e Cremona. Grazie all’aiuto di tali colonie, in quel momento, rimase salda l’autorità del popolo romano: in Senato e presso il popolo venne tributata loro riconoscenza.
I senatori vietarono che si facesse menzione delle dodici altre colonie che disprezzarono l’autorità di Roma, e che i loro ambasciatori non venissero né congedati, né trattenuti, né convocati dai consoli; questa tacita condanna sembrò la più consona alla dignità del popolo romano."
Catullo: Carmina Catulli - lib.III cap.114
"Firmano saltu non falso Mentula dives
fertur, qui tot res in se habet egregias,
aucupium omne genus, piscis, prata, arva ferasque.
Nequiquam: fructus sumptibus exsuperat.
Quare concedo sit dives, dum omnia desint.
Saltum laudemus, dum domo ipse egeat."
"Per la boscaglia di Fermo, non falsa, Minchia vien detto
ricco, che in sé ha molte cose notevoli,
ogni genere di caccia, pesci, prati, campi e bestie.
Invano: strasupera i frutti con le spese.
Perciò concedo sia ricco, fino a che tutto finisce.
Lodiamo il bosco, purchè ora lui sia proprio bisognoso."
Cicerone: Epistulae ad Atticum - lib. IV, 8, 3; Orationes Philippicae - lib. VII cap. 23;
"De natta ex tuis primum scivi litteris; oderam hominem. De poemate quod quaeris, quid si cupiat effugere? Quid? Sinas? De Fabio lusco quod eram exorsus, homo peramans semper nostri fuit nec mihi umquam odio. Satis enim acutus et permodestus ac bonae frugi. Eum quia non videbam abesse putabam; audivi ex Gavio hoc Firmano Romae esse hominem et fuisse adsiduum. Percussit animum. Dices 'tantulane causa?' Permulta ad me detulerat non dubia de Firmanis fratribus. Quid sit quod se a me removit, si modo removit, ignoro. "
"Su Natta so le prime novità dalla tua lettera. Io non potevo soffrire quell'uomo. Mi chiedi del mio poema: che diresti se volesse prendere il volo? Che dici? Devo lasciarlo andare? Ma avevo cominciato a parlare di Fabio Lusco. Ebbene, egli mi è sempre stato amico ed io non ho mai avuto antipatia per lui. E' infatti persona intelligente, molto riservata e veramente onesta. Poiché non lo vedevo, lo credevo assente. Invece ho sentito dal nostro Gavio di Fermo che è ed è sempre stato a Roma. La cosa mi ha colpito. "Per così poco?" tu mi dirai; gli è che veniva a riferirmi una grande quantità di notizie sicure sui fratelli Fermani. Perché mai si è allontanato da me, se pure s'è allontanato, non lo so."
(Traduzione di S. Rizzo)
Marco Velleio Patercolo: Historiae Romanae ad M. Vinicium libri duo - lib. I, 14, 7-8;
"At Cosam et Paestum abhinc annos ferme trecentos Fabio Dorsone et Claudio Canina consulibus, interiectoque quinquennio Sempronio Sopho et Appio Caeci filio consulibus Ariminum et Beneventum coloni missi et suffragii ferendi ius Sabinis datum. At initio primi belli Punici Firmum et Castrum colonis occupata, et post annum Aesernia postque septem et decem annos Aesulum et Alsium Fregenaeque post biennium proximoque anno Torquato Sempronioque consulibus Brundisium et post triennium Spoletium, quo anno Floralium ludorum factum est initium. Postque biennium deducta Valentia et sub adventum in Italiam Hannibalis Cremona atque Placentia."
“A Cosa e a Paesto furono inviati coloni quasi trecento anni or sono, quando erano consoli Fabio Dorsone e Claudio Canina e cinque anni dopo, sotto il consolato di Sempronio Sofo e di Appio figlio del Cieco, a Rimini e a Benevento e fu concesso ai Sabini il diritto di voto. Quando ebbe inizio la prima guerra punica (nell'anno 264 a.C.), furono occupati da coloni Fermo e Castro, dopo un anno Isernia, dopo diciassette Efula ed Alsio; Fregene fu occupata due anni dopo e l'anno seguente, sotto i consoli Torquato e Sempronio, fu occupata Brindisi e a distanza di tre anni Spoleto, nell'anno in cui ebbero inizio le feste in onore di Flora (le Floralia, feste in onore di Flora, dea della primavera, venivano celebrate dal 28 di Aprile al 3 Maggio. Il culto di Flora avrebbe avuto inizio ai tempi di Tito Tazio). Due anni dopo furono fondate la colonia di Valenza e, poco prima della venuta di Annibale in Italia (nell'anno 218 a.C.), quelle di Cremona e di Piacenza.”
(Traduzione di R. Nuti)
Marco Velleio Patercolo: Historiae Romanae ad M. Vinicium libri duo - lib. II, 29, 1;
Sub adventum in Italiam L. Sullae Cn. Pompeius, eius Cn. Pompei filius, quem magnificentissimas res in consulatu gessisse bello Marsico praediximus, tris et viginti annos natus, abhinc annos centum et tredecim privatis ut opibus, ita consiliis magna ausus magnificeque conata executus, ad vindicandam restituendamque dignitatem patriae Firmum ex agro Piceno, qui totus paternis eius clientelis refertus erat, contraxit exercitum: cuius viri magnitudo multorum voluminum instar exigit, sed operis modus paucis eum narrari iubet.
Poco prima dell'arrivo di Silla in Italia, Cneo Pompeo, figlio di quel Cneo Pompeo (Strabo) che abbiamo detto aver compiuto da console nel corso della guerra marsica (meglio nota come "guerra sociale", ma chiamata anche "marsica" o "italica" da alcuni storici latini; si tenne dal 90 all'88 a.C.) nobilissime imprese centotredici anni or sono, concepì e condusse a termine brillantemente, all'età di ventitré anni, un audace piano valendosi dei suoi soli mezzi e della sua iniziativa: allo scopo di riscattare la patria e di restituirle il suo prestigio, raccolse a Fermo un esercito dal territorio piceno densamente popolato di clienti di suo padre. La grandezza di quest'uomo richiederebbe molti volumi, ma i limiti della mia opera mi impongono che ne parli brevemente.
(Traduzione di R. Nuti)
Valerio Massimo: Factorum et Dictorum memorabilium libri novem - lib. IX, 15, 1;
"Nam ut Equitium Firmo Piceno monstrum ueniens, relatum iam in huiusce libri superiore parte, praeteream, cuius in amplectendo Ti. Graccho patre euidens mendacium turbulento uulgi errore, amplissima tribunatus potestate uallatum est, Herophilus ocularius medicus C. Marium VII consulem auum sibi uindicando [ita se] extudit, ut et coloniae se ueteranorum complures et municipia splendida collegiaque fere omnia patronum adoptarent. Quin etiam cum C. Caesar Cn. Pompeio adulescente in Hispania oppresso populum in hortis suis admisisset, proximo intercolumnio paene pari studio frequentiae salutatus est. Quod nisi diuinae Caesaris uires huic erubescendae procellae obstitissent, simile uulnus res publica excepisset atque in Equitio acceperat. Ceterum decreto eius extra Italiam relegatus, postquam ille caelo receptus est, in urbem rediit et consilium interficiendi senatus capere sustinuit. Quo nomine iussu patrum necatus in carcere seras prompti animi ad omne moliendum scelus poenas pependit. "
Un miracolo, venendo da Fermo, cioè Equizio, nominato già nella prima parte di questo nono libro, senza quella podestade che, acquisto Tiberio Gracco per padre, [la] manifesta bugia per torbido errore del popolo minuto affossoe lui d'ampissima podestade di tribunato. Erofilo Equario medico batteo la nobilità di Gaio Mario VII volte console recandolsi ad avolo, acciò che più colonie dei veterani, e i chiari castelli, e quasi tutti i collegi lo facessero loro avvocato e difensore. Che anzi ancora quando Gaio Cesare, essendo Gneo Pompeo giovinetto oppresso in Spagna, raccolse nei suoi orti il popolo, [nell' intercolunnio] prossimano, quasi con pari studio il salutoe la moltitudine. E se le divine forze di Cesare non avessero contrastato a questa vergognosa tempesta, somigliante piaga averebbe ricevuto la republica, chente ricevuto avea in Equizio. A la perfine mandato a' confini fuori d' Italia per suo dicreto, poi che Cesare fu ricevuto in cielo, ritornoe a la cittade, e sofferse di prendere consiglio d'uccidere il senato. Per la qual cagione per comandamento dei padri conscritti strangolato in carcere, tarde pene sostenne l' uomo di pronto animo ad isforzarsi ad ogni fellonìa.
Liber Coloniarum: 226, 2
Marco Velleio Patercolo: Historiae Romanae ad M. Vinicium libri duo - lib. I, 15, 1-3;
"Deinde neque dum Hannibal in Italia moratur, neque proximis post excessum eius annis vacavit Romanis colonias condere, cum esset in bello conquirendus potius miles quam dimittendus et post bellum vires refovendae magis quam spargendae. Cn. autem Manlio Voisone et Fulvio Nobiliore consulibus Bononia deducta colonia abhinc annos ferme ducentos septendecim, et post quadriennium Pisaurum ac Potentia interiectoque triennio Aquileia et Gravisca et post quadriennium Luca.
Eodem temporum tractu, quamquam apud quosdam ambigitur, Puteolos Salernumque et Buxentum missi coloni, Auximum autem in Picenum abhinc annos ferme centum octoginta quinque, ante triennium quam Cassius censor a Lupercali in Palatium versus theatrum facere instituit, cui in eo moliendo eximia civitatis severitas et consul Scipio restitere, quod ego inter clarissima publicae voluntatis argumenta numeraverim."
"In seguito, né durante la permanenza di Annibale in Italia, né durante gli anni immediatamente succesivi alla sua partenza (avvenuta sul finire dell'anno 203 a.C.), i Romani ebbero la possibilità di fondare colonie, dal momento che e nel corso della guerra si doveva trovare da ogni parte soldati piuttosto che congedarli e, dopo la gurra, si doveva rinsaldare le forze più che disperderle. Tuttavia sotto il consolato di Cn. Manlio Volsone e Fulvio Nobiliore, circa duecentodiciasette anni or sono, si fondò la colonia di Bologna (vale a dire nell'anno 187 a.C.), quattro anni dopo (nell'anno 183 a.C.) quelle di Pesaro e di Potenza Picena, tre anni dopo quelle di Aquileia e Gravisca e quattro anni dopo quella di Lucca. Nel medesimo arco di tempo, sebbene da parte di alcuni autori se ne duiti, furono inviati coloni a Pozzuoli, Salerno e Busento, a Osimo nel Piceno centoottantasette anni or sono (nell'anno 157 a.C.), tre anni prima che il censore Cassio cominciasse a costruire un teatro nella zona che va dal Lupercale al Palatino; a questa costruzione si opposero la straordinaria austerità della cittadinanza e il console Cepione, cosa che io non esiterei ad annoverare tra le manifestazioni più significative della volontà della plebe."
(Traduzione di R. Nepi)
Tito Livio: Ab Urbe Condita - lib. XXXIX, 44;
“In equitatu recognoscendo L. Scipioni Asiatico ademptus equus. In censibus quoque accipiendis tristis et aspera in omnes ordines censura fuit. Ornamenta et vestem muliebrem et vehicula, quae pluris quam quindecim milium aeris essent, <deciens tanto pluris quam quanti essent> in censum referre iuratores iussi; item mancipia minora annis viginti, quae post proximum lustrum decem milibus aeris aut pluris eo venissent, uti ea quoque deciens tanto pluris quam quanti essent aestimarentur, et his rebus omnibus terni in milia aeris attribuerentur. aquam publicam omnem in privatum aedificium aut agrum fluentem ademerunt; et quae in loca publica inaedificata immolitave privati habebant, intra dies triginta demoliti sunt. opera deinde facienda ex decreta in eam rem pecunia, lacus sternendos lapide, detergendasque, qua opus esset, cloacas, in Aventino et in aliis partibus, qua nondum erant, faciendas locaverunt. Et separatim Flaccus molem ad Neptunias aquas, ut iter populo esset, et viam per Formianum montem, Cato atria duo, Maenium et Titium, in lautumiis, et quattuor tabernas in publicum emit basilicamque ibi fecit, quae Porcia appellata est. Et vectigalia summis pretiis, ultro tributa infimis locaverunt. Quas locationes cum senatus precibus et lacrimis victus publicanorum induci et de integro locari iussisset, censores, edicto summotis ab hasta qui ludificati priorem locationem erant, omnia eadem paulum imminutis pretiis locaverunt. Nobilis censura fuit simultatiumque plena, quae M. Porcium, cui acerbitas ea adsignabatur, per omnem vitam exercuerunt. Eodem anno coloniae duae, Potentia in Picenum, Pisaurum in Gallicum agrum, deductae sunt. Sena iugera in singulos data. Diviserunt agrum coloniasque deduxerunt iidem tresviri, Q. Fabius Labeo, et M. et Q. Fulvii, Flaccus et Nobilior. Consules eius anni nec domi nec militiae memorabile quicquam egerunt.”
"In seguito alla revisione delle liste dell'ordine equestre fu tolto il cavallo a Lucio Scipione Asiatico (togliere il cavallo è un'espressione che equivale a "espellere dall'ordine equestre"). Nel ricevere le denunce dei redditi, i censori (si tratta di Marco Porcio Catone e Lucio Valerio Flacco, eletti censori nell'anno 184 a.C.) furono molto rigorosi e fiscali nei riguardi di tutti gli ordini sociali. I funzionari dei censori (nel testo vengono chiamati iuratores: essi dovettero essere gli assistenti dei censori, incaricati anche di far confermare con un giuramento ai contribuenti le dichiarazione dei redditi che essi presentavano) ricevettero disposizione che gli ornamenti e i vestiti femminili e i veicoli di cui si dichiarava un valore superiore ai quindicimila assi fossero valutati dieci volte tanto (insomma una misura che ricorda da vicino quello che, ai giorni nostri, con brutto neologismo, si chiama redditometro: chi esibisce gioielli, vestiti, veicoli per un certo valore fa capire che il suo reddito e il suo patrimonio complessivo meritano di essere stimati e valutati in una certa misura. Il redditometro è uno strumento utilizzato per la determinazione in maniera sintetica della capacità contributiva dei soggetti in relazione ad alcuni beni posseduti, nell'ipotesi in cui il reddito accertabile si discosti da quello dichiarato); stessa cosa per gli schiavi di età inferiore ai venti anni che dall'ultimo censimento in poi fossero stati venduti per diecimila assi o più: anch'essi dovevano essere valutati dieci volte il loro valore e sul patrimonio valutato in questo modo si doveva applicare una tassa del tre per mille. I censori eliminarono l'uso di ogni acqua pubblica che scorresse in edifici o fondi privati e le costruzioni - nuove dalle fondamenta o addossate ad altre - che i privati avessero su luoghi pubblici furono demolite nell'arco di trenta giorni. Diedero poi in appalto, stanziando somme specifiche per quegli scopi, alcune opere pubbliche: la pavimentazione dei collettori (le fontane rifornite da acqua pubblica avevano un serbatoio o una vasca - lacus - che fungevano da collettore e la pavimentazione del fondo di queste ha con tutta evidenza motivazioni igeniche), la manuntenzione delle cloache (fogne), dove si fosse resa necessaria, ma anche la costruzione di nuove sull'Aventino e in altri quartieri dove ancora non c'erano. Con iniziativa autonoma Flacco fece costruire un muraglione per consentire il transito di tutti i cittadini verso le Acque Nettunie e una via attraveso i monti di Formia. Catone acquistò e adibì ad uso pubblico due atrii (atria erano ampi locali adibiti ai più diversi usi pubblici), il Menio e il Tizio, nelle latomie (lautumiae erano le cave di pietra trasformate in prigioni a Siracusa; qui sarà allusione ad un carcere) e quattro botteghe, costruendovi una basilica, che prese il nome di Porcia. Diedero in appalto la riscossione delle imposte ai tassi più elevati, mentre pagarono le forniture ai prezzi più bassi. Però il senato, lasciandosi convincere dalle lacrime e dalle preghiere dei pubblicani (gli appaltatori di imposte, in genere, dell'ordine equestre), ordinò di annullare quegli appalti e di ripetere le aste; allora i censori, con un loro editto, esclusero dall'aggiudicazione quelli che avevano reso inutile la precedente gara d'appalto: in questo modo assegnarono le stesse opere con una ulteriore piccola diminuizione dei prezzi. Questo periodo di censura rimase famoso, anche perché frequenti furono le contrapposizioni personali che poi per tutta la vita si ritorsero contro Marco Porcio, cui veniva attribuita la maggiore responsabilità di quella durissima gestione. Nello stesso anno furono dedotte due colonie, a Potenza nel Piceno e a Pesaro nel territorio gallico: i coloni ebbero sei iugeri a testa. Provvidero alla spartizione del territorio e alla deduzione delle colonie gli stessi triumbiri Quinto Fabio Labeone, Marco Fulvio Flacco e Quinto Fulvio Nobiliore. I consoli di quell'anno non fecero nulla degno di nota né in pace né in guerra. Per l'anno seguente furono eletti consoli Marco Claudio Marcello e Quinto Fabio Labeone.
(Traduzione di G. D. Mazzocato)
Tito Livio: Ab Urbe Condita - lib. XLI, 27 (testo con lacune);
“Censores eo anno creati Q. Fuluius Flaccus et A. Postumius Albinus legerunt senatum; princeps lectus M. Aemilius Lepidus pontufex maximus. De senatu novem eiecerunt; insignes notae fuerunt M. Corneli Maluginensis, qui biennio ante praetor in Hispania fuerat, et L. Corneli Scipionis praetoris, cuius tum inter ciuis et peregrinos iurisdictio erat, et L. Fulvi, qui frater germanus et, ut Valerius Antias tradit, consors etiam censoris erat. Consules votis in Capitolio nuncupatis in provincias profecti sunt. Ex iis M. Aemilio senatus negotium dedit, ut Patavinorum in Venetia seditionem conprimeret, quos certamine factionum ad intestinum bellum exarsisse et ipsorum legati attulerant. Legati, qui in Aetoliam ad similis motus conprimendos ierant, renuntiarunt coerceri rabiem gentis non posse. Patavinis saluti fuit adventus consulis; neque aliud, quod ageret in provincia, cum habuisset, Romam redit. Censores vias sternendas silice in urbe, glarea extra urbem substruendas marginandasque primi omnium locaverunt, pontesque multis locis faciendos; et scaenam aedilibus praetoribusque praebendam; <et> carceres in circo, et ova ad no<tas> curriculis numerand<is> * * * dam, et metas trans * * * et caveas ferreas, pe<rquas> intromitterentur * * * feriis in monte Albano consulibus, et clivom Capitolinum silice sternendum curaverunt, et porticum ab aede Saturni in Capitolium ad senaculum, ac super id curiam. Et extra portam Trigeminam emporium lapide straverunt stipitibusque saepserunt, et porticum Aemiliam reficiendam curarunt, gradibusque ascensum ab Tiberi in emporium fecerunt. Et intra eandem portam in Aventinum porticum silice straverunt, et + eo publico ab aede Veneris fecerunt. Iidem Calatiae et Auximi muros faciendos locauerunt; venditisque ibi publicis locis pecuniam, quae redacta erat, tabernis utrique foro circumdandis consumpserunt. Et alter ex iis Fulvius Flaccus – nam Postumius nihil nisi senatus Romani populive iussu se locaturum <edixit> – ipsorum pecunia Iouis aedem Pisauri et Fundis et Potentiae etiam aquam adducendam, et Pisauri viam silice sternendam, et Sinuessae maga<lia addenda> * * * aviariae, in his et clo<acas et mur>um circumducen<dum> * * * et forum porticibus tabernisque claudendum et Ianos tris faciendos. Haec ab uno censore opera locata cum magna gratia colonorum. Moribus quoque regendis diligens et severa censura fuit. Multis equi adempti.”
"I censori eletti in quell'anno, Quinto Fulvio Flacco e Aulo Postumio Albino, provvidero alla revisione delle liste senatorie; fu designato il più autorevole membro del senato nella persona del pontefice massimo Marco Emilio Lepido. Nove furono espulsi dal senato: provocarono particolare scalpore le note di biasimo con cui furono espulsi Marco Cornelio Maluginese, cui, come pretore, era stata assegnata la Spagna, il pretore Lucio Cornelio Scipione che aveva avuto in sorte la giurisdizione sulle cause tra cittadini e stranieri, e Lucio Fulvio che era fratello germano e, come testimonia Valerio Anziate, anche coerede del censore. I consoli, dopo aver pronunciato i voti solenni sul Campidoglio, partirono per raggiungere le loro zone di operazioni. Ad uno di loro, Marco Emilio, il senato affidò l'incarico di reprimere la rivolta in atto, nel territorio dei Veneti, tra i Patavini i quali erano passati da una contrapposizione tra opposte fazioni ad una vera e propria guerraintestina, come avevano riferito anche i loro legati. I legati che si erano recati in Etolia per cercare di placare simili discordie, dichiararono che non era possibile tenere a freno le rabbiose rivendicazioni di quel popolo. I Patavini riaquistarono la pace sociale grazie all'arrivo del console il quale, non avendo più nulla da fare in quella zona di operazioni, fece ritorno a Roma. I censori - furono i primi in assoluto - appaltarono i lavori di pavimentazione in pietra delle vie urbane e di consolidamento del fondo delle strade extraurbane per mezzo di ghiaia e con la costruzione di marciapiedi; appaltarono anche la costruzione, in molte località, di ponti e poi di logge per gli spettacolo riservate agli edili e ai pretori; appaltarono anche la costruzione di stalli nel circo e le uova per la conta dei giri di pista * * * e le colonnine, oltre * * * e le tribune in metallo attraverso le quali far passare * * * per le feste sul monte Albano ai consoli. Fecero poi lastricare il clivio capitolino e il portico cha va dal tempio di Saturno, in direzione del Campidoglio, fino al luogo di riunione del senato e poi fino alla Curia. I censori lastricarono anche il mercato fuori porta Trigemina recingendolo quindi con una palizzata; fecero restaurare il portico Emilio e costruirono una scalinata che consentiva di salire dal Tevere fino al mercato. All'interno della stessa porta lastricarono il portico in direzione dell'Aventino * * * fecero dal tempio di Venere. Sempre i censori appaltarono la costruzione di tratti di muro a Clazia e a Osimo; in quelle località misero in vendita i beni demaniali spendendo poi il denaro ricavato per costruire botteghe tutto attorno ai fori delle due città. Uno dei due censori, Fulvio Flacco – Postumio ebbe a dichiarare che egli non avrebbe bandito degli appalti senza un preciso decreto del senato e del popolo romano – con il denaro di questi, appaltò la costruzione di un tempio dedicato a Giove a Pesaro; a Fondi e a Potenza i lavori di costruzione di un acquedotto; a Pesaro la pavimentazione di una strada; a Sinuessa l'aggiunta di casupole * * * per gli uccelli e in esse fognature e un muro di recinzione * * * e fece chiudere il foro con portici e botteghe e costruire tre passaggi a volta. Queste opere furono appaltate da un solo dei censori con grande soddisfazione dei coloni. La censura fu molto rigorosa e attenta anche nelle misure a favore della moralità. Molti furono gli espulsi dall'ordine equestre."
(Traduzione di G. D. Mazzocato)
Strabone: Geografia - lib. V, 4, 2 (passo di incerta interpretazione);
Testo in greco momentaneamente non disponibile
"Dopo le città dell'Umbria situate tra Ariminum ed Ancona, c'è il Piceno. I Picentini emigrarono dalla Sabina, sotto la guida di un picchio che aveva mostrato la via ai loro primi capi. Di qui il loro nome: chiamano infatti picus questo uccello e lo considerano sacro ad Ares.
Essi, a cominciare dalle montagne, abitano fino alle pianure e al mare ed hanno accresciuto in lunghezza più che in larghezza il loro territorio, fertile per tutte le colture, ma più favorevole per gli alberi da frutto che per i cereali.
La sua lunghezza, tra le montagne e il mare, è variabile misurata da punti diversi; la sua lunghezza, dal fiume Aesis (Esino) fino a Castrum (Castrum Novum, l'odierna Giulianova), è di ottocento stadi (uno stadio corrisponde a circa 185 m).
Le sue città sono Ancona, città di origine greca, fondata dai Siracusani che fuggivano la tirranide di Dionisio; giace su un promontorio che, con la sua curvatura verso settentrione, circoscrive un porto; produce vino e grano in gran quantità.
Vicino ad essa c'è la città di Auximum, a breve distanza dal mare. Poi vengono Septempeda, Pneuentia (questo nome non è altrimenti conosciuto; si pensa che Strabone abbia scritto piuttosto "Pollentia", oggi Urbisaglia), Potentia, Firmum Picenum e il porto di quest'ultima, Castellum (l'odierna Porto S. Giorgio).
Segue poi il santuario di Cupra, fondato e costruito dai Tirreni: essi chiamano Era col nome di Cupra; poi c'è il fiume Truentus e la città da cui prende il nome (il fiume è l'odierno Tronto; la città è Castrum Truentinum, l'odierna San Benedetto che sorgeva sulla collina dove si trova Civita, nei pressi di Colonella, sulla riva destra del Tronto), poi Castrum Novum e il fiume Matrinus (probabilmente Piomba), che discende dalla città degli Adriani, Hadria (l'odierna Atri), ed ha un porto da cui prende nome (l'odierno Porto d'Atri). Si trova nell'interno così come Asculum Picenum, che gode di ottime difese naturali grazie alla collina su cui si ergono le mura e ai montitutt'intorno che non sono accessibili agli eserciti.
Oltre il Piceno c'è il territorio dei Vestini, dei Marsi, dei Peligni, dei Marrucini, dei Ferrentani, di stirpe sannitica. Essi occupano la zona montagnosa ed hanno solo piccoli accessi al mare. Si trattadi popoli deboli numericamente, ma assai coraggiosi e che spessohanno dato dimostrazione ai Romanidel loro valore: un prima volta quando erano in guerra contro di essi, la seconda combattendo insieme a loro, la terza quando, chiedendo di ottenere la libertà e la cittadinanza, non avendola ottenuta, si ribellarono e dichiararono la così detta guerra Marsi, proclamando Corfinium, la metropoli dei Peligni, comune a tutti gli Italici al posto di Roma e facendone la base delle operazioni di guerra dopo aver sostituito il suo nome con quello di Italica; avendo riunito là in assemblea tutti quelli che stavano dalla loro parte avevano eletto consoli e pretori. Continuarono a combattere per due anni fino a che ottennero quella comunanza di diritti per cui avevano combattuto. La guerra fu detta Marsica da quelli che avevano iniziato la sommossa, Pompedio in primo luogo.
Tutti gli altri popoli vivono sparsi in villaggi, ma possiedono anche alcune città, all'interno rispetto al mare; così Corfinium, Sulmona, Maruvium e Teate, la città più importante dei Marrucini.
Proprio sul mare c'è invece Aternum (l'odierna Pescara), che confina col Piceno, omonima al fiume che fa da confine col territorio dei Vestini e dei Marrucini. Scorre infatti dalla regione di Amiternum (città della regio IV sulla riva sinistra del fiume Aterno, a pochi chilometri dall'Aquila, da non confondere con Amiternum, l'odierna Teramo) attraverso il territorio dei Vestini, lasciando sulla destra quello dei Marrucini, situato oltre quello dei Peligni; può essere attraversato con un ponte di barche. La città, che ha lo stesso nome del fiume, appartiene ai Vestini, ma serve da porto anche ai Peligni e ai Marrucini. Il ponte di barche è a 24 stadi da Corfinium.
Dopo Aternum c'è Ortona, porto dei Frentani e Buca, anche questa dei Frentani, che è vicina a Teanum Apulum.
[Nel territorio dei Frentani c'è Ortonio, vale a dire alcuni scogli che appartengono ai pirati le cui abitazioni sono fabbricatecon i resti dei naufragi ed anche per il resto sono simili a bestie.]
Tra Ortona ed Aternum c'è il fiume Sagrus, che separa i Frentani dai Peligni. Il tragitto per mare dal Piceno al territorio degli Apuli chiamati dai Greci Dauni, è circa 490 stadi."
(Traduzione di A. M. Biraschi)
Plinio il Vecchio: Naturalis Historia – lib. III, 111
"Cupra oppidum, Castellum Firmanorum, et super id colonia Asculum, Piceni nobilissima. Intus Novana; in ora Cluana, Potentia, Numana a Siculis condita, ab iisdem colonia Ancona, adposita promunturio Cunero in ipso flectentis se orae cubito, a Gargano CLXXXIII. Intus Auximates, Beregrani, Cingulani, Cuprenses cognomine Montani, Falerienses, Pausulani, Planinenses, Ricinenses, Septempedani, Tolentinates, Traienses, Urbesalvia Pollentini."
"(Ci sono) la città di Cupra, Castellum Firmanorum, e sopra di essa (si trova) la colonia di Ascoli, la più nobile del Piceno. All'interno (si trova) Novana; sul litorale c'è Cluana, Potenza, Numana fondata dai Siculi, (fondata) dai medesimi c'è la colonia di Ancona collocata sul promontorio del Conero, rivolta verso il mare nello stesso gomito, (distante) dal Gargano 183 miglia. All'interno ci sono gli abitanti di Auximum, di Beregra, di Cingulum, gli abitanti di Cupra soprannominati Montani, gli abitanti di Falerio, di Pausulae, di Planina, di Ricina, di Septempeda, di Tolentinum, di Trea e gli abitanti di Urbs Salvia."
(Traduzione di Patrizio D.)
Gelasio I: 0152 B
Gelasius Papa Philippo et Gerontio Episcopis.
In electione episcopi parochus debet adesse.
Plebs Clientensis data nobis peticione deflevit, diu se sine rectoris proprii gubernatione dispregi.
Ac, sicut asseritur, is qui a nobis iam probatus dicitur, a paucis et tenuibus iam putatur electus, cum ad nos pertineat, universos assidua admonitione compellere, ut omnes in unum, quem dignum sacerdotio viderint et sine aliqua reprehensione, consentiant.
Et ideo, fratres Karissimi, diversos ex omnibus sepe dicti loci parrochiis presbiteros, diaconos et universam turbam vos oportet sepius convocare, quatinus non proutcuilibet libuerit, sed concordantibus animis talem, vobis ammonentibus, sibi querant sola divinitatis attentione personam, quam nulla contrarietas a constitutis possit revocare prescriptis.
Gelasio I: Epistola 30
Gelasius I Philippo et Geruntio episcopis mandat, ut Gaudiosum diaconum, si idoneum repererint, presbyterum in Clientensi vico ordinent.
Philippo et Geruntio episcopis. Fratres Karissimi, Gaudiosum diaconum, quem conprehendit peticio subter admixta, si tamen vestra discussio eum non esse repererit, qui iam a nobis ante cognoscitur reprobatus, ne per subreptionem subiciatur, qui meruit iam repulsum, et in huius persona qui nunc eligitur vite probitas et regularum constat auctoritas, nec est, quo ei canonum precepta renitantur, Clientensi vico ordinabitis nostra preceptione presbiterum.
Paolo Orosio: Historiarum adversus paganos libri septem - lib. IV, 4
"Sequenti abhinc anno Sempronius consul adversum Picentes duxit exercitum et cum directae intra iactum teli utraque acies constitisset, repente ita cum horrendo fragore terra tremuit ut stupore miraculi utrumque pavefactum agmen hebesceret. Diu attoniti utrimque populi haesitavere praeiudicata incepti conscientia; tandem procursu concito iniere certamen. Triste adeo id bellum fuit, ut merito dicatur tantum humanum sanguinem susceptura etiam cum gemitu horrisono tunc terra tremuisse. Romani pauci admodum eo proelio qui evasere vicerunt."
"L'anno successivo il console Sempronio condusse una spedizione contro i Picenti e, mentre i due eserciti si fronteggiavano alla distanza di un tiro di dardo, improvvisamente la terra cominciò a tremare con fragore orrendo, al punto che l'esercito rimase stupefatto, atterito da quell'evento prodigioso. E sui due fronti la truppe restarono a lungo attonite, esitando prima di compiere ciò che era stato stabilito di fare: alla fine, però, correndosi incontro, diedero inizio al combattimento. La battaglia fu tanto triste, che a buona ragione si può sostenere che la terra abbia tremato con straziante rimbombo, all'idea di dover ricevere così tanto sangue. I pochissimi Romani sopravvissuti vinsero poi lo scontro."
Publio Cornelio Tacito: Historiae - lib.III, 42
"Digresso Valente trepidos, qui Ariminum tenebant, Cornelius Fuscus, admoto exercitu et missis per proxima litorum Liburnicis, terra marique circumvenit: occupantur plana Vmbriae et qua Picenus ager Hadria adluitur, omnisque Italia inter Vespasianum ac Vitellium Appennini iugis dividebatur. Fabius Valens e sinu Pisano segnitia maris aut adversante vento portum Herculis Monoeci depellitur. haud procul inde agebat Marius Maturus Alpium maritimarum procurator, fidus Vitellio, cuius sacramentum cunctis circa hostilibus nondum exuerat. is Valentem comiter exceptum, ne Galliam Narbonensem temere ingrederetur, monendo terruit; simul ceterorum fides metu infracta."
"Cornelio Fusco, messo in marcia l'esercito e mandate delle liburniche lungo le spiagge vicine, circonda per terra e per mare gli uomini che tenevano Rimini, già colpiti da paura per la partenza di Valente. Vengono occupate le vallate dell'Umbria ed i territori del Piceno bagnati dall'Adriatico, e tutta l'Italia viene divisa tra Vespasiano e Vitellio dalla catena dell'Appennino.
Fabio Valente dal golfo di Pisa vien spinto a Monaco, dalla bonaccia e da venti contrari. Non lontano c'era il procuratore delle Alpi Marittime, Mario Maturo, fedele a Vitellio, che non ne aveva ancora ripudiato il giuramento, per quanto fosse circondato da elementi nemici. Questi, dopo avere amichevolmente accolto Valente, lo distolse con i suoi consigli dall'entrare avventatamente nella Gallia Narbonese: contemporaneamente, la fedeltà degli altri fu infranta dal timore."
(Traduzione di F. Dessì)
Marco Valerio Marziale: Epigrammi - lib.I, 43
"Bis tibi triceni fuimus, Mancine, vocati
Et positum est nobis nil here praeter aprum,
Non quae de tardis servantur vitibus uvae
Dulcibus aut certant quae melimela favis,
Non pira quae longa pendent religata genesta
Aut imitata brevis Punica grana rosas,
Rustica lactantes nec misit Sassina metas
Nec de Picenis venit oliva cadis:
Nudus aper, sed et hic minimus qualisque necari
non armato pumilione potest.
Et nihil inde datum est; tantum spectavimus omnes:
Ponere aprum nobis sic et harena solet.
Ponatur tibi nullus aper post talia facta,
Sed tu ponaris cui Charidemus apro."
"O Mancino, ieri ci hai invitato in sessanta e ci hai messo davanti null'altro che un cinghiale - non uva staccata tardi dai tralci e conservata, non mele nane che gareggiano col dolce miele, non pere che pendono legate a un lungo ramo di ginestra, non melagrane somiglianti alle rose che presto sfioriscono, non quei formaggi di forma conica che ci manda la rustica Sarsina, nè quelle olive che ci vengono dagli orci del Piceno - : solo un cinghiale e per giunta piccolo, quale può essere ucciso da un nano disarmato. E di esso nulla ci fu dato; l'abbiamo solo guardato tutti quanti: un cinghiale siffatto ce lo suole presentare anche il circo. Dopo quanto è avvenuto non ti sia posto davanti nessun cinghiale, ma tu stesso sia posto davanti a quel a cui fu condannato Caridemo."
(Traduzione di G. Norcio)
Marco Valerio Marziale: Epigrammi - lib.IV, 46
"Saturnalia divitem Sabellum
Fecerunt: merito tumet Sabellus,
Nec quemquam putat esse praedicatque
Inter causidicos beatiorem.
Hos fastus animosque dat Sabello
Farris semodius fabaeque fresae,
Et turis piperisque tres selibrae,
Et Lucanica ventre cum Falisco,
Et nigri Syra defruti lagona,
Et ficus Libyca gelata testa
Cum bulbis cocleisque caseoque.
Piceno quoque venit a cliente
Parcae cistula non capax olivae,
Et crasso figuli polita caelo
Septenaria synthesis Sagunti,
Hispanae luteum rotae toreuma,
Et lato variata mappa clavo.
Saturnalia fructuosiora
Annis non habuit decem Sabellus."
"I Saturnali hanno arricchito Sabello: a buon diritto Sabello è superbo e crede ed afferma che non c'è nessuno tra gli avvocati più fortunato di lui. Ecco le cose che rendono superbo e fiero Sabello: mezzo moggio di farro e di fave macinate, tre mezze libbre d'incenso e di pepe, una salsiccia di Lucania accompagnata da un ventre di porco falisco, un'anfora siria di nero mosto cotto, una gelatina di fichi in un vaso libico, delle cipolle, delle lumache e del formaggio. Da un cliente piceno gli è arrivato anche un piccolo cesto con poche olive e un servizio di sette coppe cesellate a Sagunto dalla rozza arte di un vasaio, lavoro d'argilla di un tornio spagnolo, e un tovagliolo adorno di una larga striscia di porpora. In dieci anni Sabello non ha avuto Saturnali più redditizi."
(Traduzione di G. Norcio)
Marco Valerio Marziale: Epigrammi - lib.IV, 88
"Nulla remisisti parvo pro munere dona,
Et iam Saturni quinque fuere dies.
Ergo nec argenti sex scripula Septiciani
Missa nec a querulo mappa cliente fuit,
Antipolitani nec quae de sanguine thynni
Testa rubet, nec quae cottana parva gerit,
Nec rugosarum vimen breve Picenarum,
Dicere te posses ut meminisse mei?
Decipies alios verbis voltuque benigno,
Nam mihi iam notus dissimulator eris."
"Non hai ricambiato il mio piccolo dono, e già i cinque giorni dei Saturnali sono passati. Dunque non mi hai mandato né vasellame di argento Septiciano del valore di sei scripoli, né un tovagliolo, regalo di un piagnucoloso cliente, né un vaso rosso del sangue di tonno di Antipoli, né un vaso di piccoli fichi di Siria, né un piccolo cesto di olive raggrinzite del Piceno, onde poter dire che ti sei ricordato di me? Con le tue parole e il tuo volto benigno potrai ingannare gli altri: per me d'ora innanzi non sarai che uno smascherato ingannatore."
(Traduzione di G. Norcio)
Marco Valerio Marziale: Epigrammi - lib.V, 78
"Si tristi domicenio laboras,
Torani, potes esurire mecum.
Non deerunt tibi, si soles propinein,
Viles Cappadocae gravesque porri,
Divisis cybium latebit ovis.
Ponetur digitis tenendus ustis
Nigra coliculus virens patella,
Algentem modo qui reliquit hortum,
Et pultem niveam premens botellus,
Et pallens faba cum rubente lardo.
Mensae munera si voles secundae,
Marcentes tibi porrigentur uvae
Et nomen pira quae ferunt Syrorum,
Et quas docta Neapolis creavit,
Lento castaneae vapore tostae:
Vinum tu facies bonum bibendo.
Post haec omnia forte si movebit
Bacchus quam solet esuritionem,
Succurrent tibi nobiles olivae,
Piceni modo quas tulere rami,
Et fervens cicer et tepens lupinus.
Parva est cenula - quis potest negare? -,
Sed finges nihil audiesve fictum
Et voltu placidus tuo recumbes;
Nec crassum dominus leget volumen,
Nec de Gadibus inprobis puellae
Vibrabunt sine fine prurientes
Lascivos docili tremore lumbos;
Sed quod non grave sit nec infacetum,
Parvi tibia condyli sonabit.
Haec est cenula. Claudiam sequeris.
Quam nobis cupis esse tu priorem?"
"O Toranio, se il pensiero di una magra cena a casa tua ti rattrista, puoi fare penitenza con me. Se sei solito prendere l'aperativo, non ti mancheranno modeste lattughe di Cappadocia e porri dal forte odore; avrai anche fette di tonno nascoste dentro pezzetti d'uovo. Ti sarà presentato, su uno scuro piatto, un verde cavolo colto or ora nel freddo orto, che dovrai prendere scottandoti le dita, una salsiccia adagiata sopra una bianca farinata, delle bianche fave con rosso lardo. Se vorrai le leccornie del pospasto, ti saranno dati grappoli di uva passa, le pere che chiamano di Siria e quelle castagne cotte a fuoco lento, creazione della dotta Napoli. In quanto al vino, sei tu che lo renderai buono, bevendolo. Se dopo tutti questi cibi il vino, come spesso avviene, ti desterà l'appetito, puoi contare su ottime olive, maturate poco fa su alberi piceni, ceci caldi e tiepidi lupini. La mia cena è modesta - chi potrebbe negarlo? -, ma non dovrai né dire né ascoltare bugie, e potrai stare sdraiato col tuo volto abituale. Il padrone di casa non ti leggerà un grosso volume, non vi saranno ragazze col fuoco addosso della sfacciata Cadice che scuotono, senza mai fermarsi, le loro anche lascive con movimenti studiati: ci sarà invece una cosa piacevole e non priva di grazia, cioè il suono del flauto del piccolo Condilo. Questa sarà la mia cenetta. Tu siederai dopo Claudia. Quale ragazza vuoi che sieda prima di me?"
(Traduzione di G. Norcio)
Marco Valerio Marziale: Epigrammi - lib.VII, 53
"Omnia misisti mihi Saturnalibus, Umber,
Munera, contulerant quae tibi quinque dies:
Bis senos triplices et dentiscalpia septem;
His comes accessit spongia, mappa, calix,
Semodiusque fabae cum vimine Picenarum,
Et Laletanae nigra lagona sapae;
Parvaque cum canis venerunt cottana prunis
Et Libycae fici pondere testa gravis.
Vix puto triginta nummorum tota fuisse
Munera, quae grandes octo tulere Syri.
Quanto commodius nullo mihi ferre labore
Argenti potuit pondera quinque puer!"
"Tu mi hai mandato, o Umbro, per i Saturnali tutti i doni che i cinque giorni ti avevano portato: dodici tavolette per scrivere a tre fogli, sette stuzzicadenti; si sono aggiunti come compagni una spugna, un tovagliolo, una coppa, mezzo moggio di fave insieme a un paniere di ulive picene e un nero fiasco di vino cotto Laletano; mi sono arrivati dei piccoli fichi di Siria con prugne secche e un pesante vaso di fichi libici. Penso che tutti questi doni, che mi portarono otto giganteschi Siri, a stento raggiungessero il valore di trenta sesterzi. Quanto più agevolmente uno schiavetto avrebbe potuto portarmi senza alcuna fatica cinque libbre d'argento."
(Traduzione di G. Norcio)
Marco Valerio Marziale: Epigrammi - lib.IX, 54
"Si mihi Picena turdus palleret oliva,
Tenderet aut nostras silva Sabina plagas,
Aut crescente levis traheretur harundine praeda
Pinguis et inplicitas virga teneret aves:
Cara daret sollemne tibi cognatio munus,
Nec frater nobis nec prior esset avus.
Nunc sturnos inopes fringuillarumque querellas
Audit et arguto passere vernat ager;
Inde salutatus picae respondet arator,
Hinc prope summa rapax miluus astra volat.
Mittimus ergo tibi parvae munuscula chortis:
Qualia si recipis, saepe propinquus eris."
"Se avessi pallidi tordi ingrassati con olive picene o reti tese nella selva sabina, se il mio lungo panione catturasse leggere prede, e gli uccelli rimanessero attaccati alla mia canna spalmata di vischio, ti donerei per la cara parentela il dono che si usa dare, e né il fratello, né l'avo sarebbe preferito a te nel mio cuore. Ora il mio poderetto ode magri storni e il lamento dei fringuelli e a primavera il cinguettio dei passeri: qui l'aratore risponde al saluto della gazza, là poco lontano il rapace sparviero vola verso gli alti astri. Perciò ti mando il dono del mio modesto cortile: se lo accetti volentieri, sarai spesso un mio parente."
(Traduzione di G. Norcio)
Marco Valerio Marziale: Epigrammi - lib.XI, 52
"Cenabis belle, Iuli Cerialis, apud me;
Condicio est melior si tibi nulla, veni.
Octavam poteris servare; lavabimur una:
Scis, quam sint Stephani balnea iuncta mihi.
Prima tibi dabitur ventri lactuca movendo
Utilis, et porris fila resecta suis,
Mox vetus et tenui maior cordyla lacerto,
Sed quam cum rutae frondibus ova tegant;
Altera non deerunt tenui versata favilla,
Et Velabrensi massa coacta foco,
Et quae Picenum senserunt frigus olivae.
Haec satis in gustu. Cetera nosse cupis?
Mentiar, ut venias: pisces, conchylia, sumen
Et chortis saturas atque paludis aves,
Quae nec Stella solet rara nisi ponere cena.
Plus ego polliceor: nil recitabo tibi,
Ipse tuos nobis relegas licet usque Gigantas,
Rura vel aeterno proxima Vergilio."
"O Giulio, cenerai bene presso di me; vieni, se non hai un impegno più gradito. Puoi venire all'ra ottava; ci laveremo insieme: tu sai quanto siano vicini alla mia casa i bagni di Stefano. Ti darò per prima la lattuga lassativa per lo stomaco e gambi di porro staccati dalle loro piantine; poi fette di tonno salato più grosse di un piccolo sgombro accompagnate da uova su foglie di ruta; non mancheranno altre uova cotte sulla brace, del formaggio rappreso col fuoco di Velabro e olive che hanno sentito il freddo del Piceno. Questo basterà come antipasto. Vuoi sapere gli altri piatti? Mentirò per farti venire: pesci, ostriche, tettine di scrofa e uccellagione ben ingrassata di cortile e di palude, che neppure Stella suole far servire a tavola, se non in casi eccezionali. Ti prometto ancora di più: non ti leggerò nulla, neppure se tu dovessi rileggermi da cima a fondo la tua Gigantomachia oppure il poema sulla campagna degno dell'immortale Virgilio."
(Traduzione di G. Norcio)
Marco Valerio Marziale: Epigrammi - lib.XIII, 35
Lucanicae
"Filia Picenae venio Lucanica porcae:
Pultibus hinc niveis grata corona datur."
Salsiccie lucaniche.
"Sono una salsiccia lucanica, figlia di una scrofa picena: con me si può preparare un gustoso contorno per la bianca polenta."
(Traduzione di G. Norcio)
Marco Valerio Marziale: Epigrammi - lib.XIII, 36
Cistella olivarum
"Haec, quae Picenis venit subducta trapetis,
Inchoat atque eadem finit oliva dapes."
Cesto di olive.
"Queste olive che ti giungono sottratte ai frantoi piceni aprono e chiudono i pranzi."
(Traduzione di G. Norcio)
Marco Valerio Marziale: Epigrammi - lib.XIII, 47
Panes Picentini
"Picentina Ceres niveo sic nectare crescit,
Ut levis accepta spongia turget aqua."
Pani del Piceno.
"Questa farina del Piceno cresce col bianco latte così come una leggera spugna si gonfia per l'acqua che assorbe."
(Traduzione di G. Norcio)
Quinto Orazio Flacco: Sermones - lib.II, 4, 70-71
"Picenis cedunt pomis Tiburtia suco:
nam facie praestant"
"Le mele di Tivoli sono inferiori a quelle picene per sapore, ma più belle d'aspetto"
Quinto Orazio Flacco: Sermones - lib.II, 3, 264-273
"Ecce
servos, non paulo sapientior 'o ere, quae res
nec modum habet neque consilium, ratione modoque
tractari non volt. in amore haec sunt mala, bellum,
pax rursum: haec siquis tempestatis prope ritu
mobilia et caeca fluitantia sorte laboret
reddere certa sibi, nihilo plus explicet ac si
insanire paret certa ratione modoque.'
quid? cum Picenis excerpens semina pomis
gaudes, si cameram percusti forte, penes te es?"
"E il servo, molto più saggio: "Padrone mio ciò che non ha misura e ragione, non si può trattare con razionalità e moderazione. Sono questi i mali in amore: guerra e poi ancora pace. Se qualcuno si affannasse a dare stabilità a queste cose mutevoli quasi come il tempo e incerte per volere di un cieco destino, non ce la farebbe: come se si mettesse in testa di fare il matto con misura stabilita e metodo". Sei forse padrone di te stesso, quando, tolto un seme dalla mela picena, esulti se ti riesce di colpire il soffitto della camera?"
Procopio: Bellum Gothicum - lib.I, 15
"Al di qua di questo golfo trovasi per prima la piccola città di Dryunte, oggi detta Otranto; a destra di questa stanno i Calabri, i Pugliesi, i Sanniti, dopo i quali vengono i Piceni, che abitano quel paese fino alla città di Ravenna; a sinistra sta l'altra porzione della Calabria e il Bruzio e la Lucania, dopo la quale viene la Campania fino a Terracina, a cui succedono i confini dell'Agro romano"
(Traduzione di D. Comparetti)
Procopio: Bellum Gothicum - lib.II, 7
"Poscia Belisario, visto che Roma abbondava di soldati, mandò perecchia cavalleria attorno pei paesi distanti da Roma ed ordinò a Giovanni, figlio della sorella di Vitaliano, di svernare coi suoi ottocento cavalli presso la città di Alba, situata nel Piceno; insieme con questi mandò quattrocento della schiera di Valeriano, comandati da Damiano, figlio della sorella di Valeriano, ed ottocento de' suoi scudieri, uomini di gran valore in guerra. A capo di questi pose Suta ed Abigi, ingiungendo loro di seguire Giovanni ovunque li menasse, ed a Giovanni ordinò che si tenesse quieto finché vedesse i nemici stare ai patti; quando però ei gli accennasse aver quelli rotto la tregua, facesse così: con tutta la truppa repentinamente e di corsa percorresse tutto il territorio piceno, invadendo uno dopo l'altro tutti quei paesi senza lasciarsi precedere dalla fama. Poiché in tutta quella regione non eran rimasti quasi punto uomini, andati come pare tutti in guerra contro Roma, ma dapertutto trovavansi figli e donne ed averi dei nemici, prendesse prigioni adunque e facesse bottino di quanto gli capitasse, badando bene però a non mai danneggiare alcun Romano colà dimorante. Se mai poi si avvenisse in un luogo ove fossero per avventura uomini e fortezza, ne tentasse la presa con ogni forza; se riuscisse a prenderlo, procedesse oltre; se poi avvenissegli di trovar resistenza, retrocedesse oppure si fermasse colà; poiché procedere innanzi, lasciandosi alle spalle un tal luogo fortificato, sarebbe cosa assai pericolosa, non potendo così aver facilità di difesa, se mai fosser molestati dai nemici. Tenesse inoltre in serbo tutto quanto il bottino, da esser poi diviso equamente fra tutto l'esercito. E qui, sorridendo, soggiungeva: "Poiché non è giusto che gli uni a grande fatica si occupino di distruggere i calabroni, ed altri senza alcun travaglio si godano il miele". Con tali ordini Belisario mandò Giovanni e le sue truppe."
(Traduzione di D. Comparetti)
Procopio: Bellum Gothicum - lib.II, 10
"Mentre questo avveniva, Belisario scrisse a Giovanni di mettersi all'opera. Colui coi suoi duemila cavalli percorrendo il Piceno prese a far bottino di quanto trovava, ed a menare schiave le figlie e le mogli dei nemici. Scontratosi con Uliteo, zio di Vitige, che veniagli contro, lo vinse ed uccise lui e quasi tutta la schiera nemica, per lo che niuno più osò venir con lui alle mani. Giunti che furono alla città di osimo, seppe che ivi trovavasi un presidio di poco momento invero, ma scorse il luogo essere assai forte e non espugnabile; quindi non volle trattenersi ad assediarlo, ma toltosi di là, prestamente procedette oltre. Altrettanto ei feceper la città di Urbino e, istigatodai Romani, recossi a Rimini distante una giornata di cammino da Ravenna. I barbari che eran colà di presidio, non fidandosi punto dei Romani che ivi abitavano, udito ch'ebbero che queste truppe si avanzavano, se ne partirono e di corsa ritiraronsi in Ravenna.
Così Giovanni occupò Rimini, lasciandosi addietro un presidio nemico in Osimo ed in Urbino. Non già ch'egli avesse dimenticati gli ordini di Belisario, né si abbandonasse ad inconsiderata temerità, dacché era uomo tanto assennato quanto energico, ma calcolava, come infatti avvenne, che i Goti quando sapessero trovarsi l'armata romana così presso a Ravenna, temendo per quel luogo, avrebbero tolto l'assedio da Roma. Ed egli colse nel vero, perché, quandoVitige e l'esercito dei Goti ebbero udito che Rimini era da lui occupata, venuti in gran timore per Ravenna, senza preoccuparsi di altro, immediatamente apprestaronsi a partire, secondo che or ora io narrerò. E Giovanni, già prima rinomato, fecesi molto onore per tal suo operare; poiché era egli uomo ardito e dei più intraprendenti; non mai esitante dinanzi ai pericoli, né meno di un barbaro o di un soldato qualunque avvezzo ad un vivere duro e strapazzato. Tale era Giovanni."
Caio Giulio Cesare: Commentarii de bello civili - lib.I, 12
"Interea certior factus Iguvium Thermum praetorem cohortibus V tenere, oppidum munire, omniumque esse Iguvinorum optimam erga se voluntatem, Curionem cum tribus cohortibus, quas Pisauri et Arimini habebat, mittit. Cuius adventu cognito diffisus municipii voluntati Thermus cohortes ex urbe reducit et profugit. Milites in itinere ab eo discedunt ac domum revertuntur. Curio summa omnium voluntate Iguvium recepit. Quibus rebus cognitis confisus municipiorum voluntatibus Caesar cohortes legionis XIII ex praesidiis deducit Auximumque proficiscitur; quod oppidum Attius cohortibus introductis tenebat delectumque toto Piceno circummissis senatoribus habebat."
"Intanto, avendo saputo che Termo, già stato pretore, occupava Gubbio con cinque coorti e ne fortificava la rocca, ma che l'animo degli abitanti era completamente favorevole a lui, vi manda Curione con le tre coorti che aveva a Pesaro e a Rimini. Termo, com'ebbe notizia della sua venuta, diffidando del favore di quel municipio, ritira dalla città le sue coorti e si allontana precipitosamente. Nella marcia i soldati lo abbandonano e ritornano alle loro case, Curione, tra l'entusiasmo unanime, s'impadronisce di Gubbio. Informato di questi avvenimenti, Cesare, sentendosi sicuro dell'appoggio dei municipi, fa uscire dai presidii le coorti della tredicesima legione e muove alla volta di Osimo; Attio occupava questa città con le coorti che vi aveva condotto dentro, e faceva la leva in tutto il Piceno mandando in giro dei senatori."
(Traduzione di F. Brindesi, E. Barelli, G. Bruno, L. Loreto)
Caio Giulio Cesare: Commentarii de bello civili - lib.I, 13
"Adventu Caesaris cognito decuriones Auximi ad Attium Varum frequentes conveniunt; docent sui iudicii rem non esse; neque se neque reliquos municipes pati posse C. Caesarem imperatorem, bene de re publica meritum, tantis rebus gestis oppido moenibusque prohiberi; proinde habeat rationem posteritatis et periculi sui. Quorum oratione permotus Varus praesidium, quod introduxerat, ex oppido educit ac profugit. Hunc ex primo ordine pauci Caesaris consecuti milites consistere coegerunt. Commisso proelio deseritur a suisVarus; nonnulla pars militum domum discedit; reliqui ad Caesarem perveniunt, atque una cum eis deprensus L. Pupius, primi pili centurio, adducitur, qui hunc eundem ordinem in exercitu Cn. Pompei antea duxerat. At Caesar milites Attianos collaudat, Pupium dimittit, Auximatibus agit gratias seque eorum facti memorem fore pollicetur."
"Alla notizia dell'arrivo di Cesare, i decurioni di Osimo vengono in gran numero da Attio Varo; dicono che non toccava a loro giudicare della cosa, ma che essi e gli altri cittadini del municipio non potevano tollerare che fosse tenuto fuori dalle mura della città Gaio Cesare, un generale che si era reso benemerito della repubblica e che aveva compiuto così grandi imprese; egli, Varo, tenga dunque conto del futuro e del pericolo che corre. Varo scosso dal loro discorso, conduce fuori dalla città il presidio che vi aveva condotto e si ritira. Pochi soldati dell'avanguardia di Cesare lo inseguirono e lo costrinsero a fermarsi. Si attacca battaglia, e Varo è abbandonato dai suoi; una parte non piccola dei soldati ritorna a casa, e gli altri vanno da Cesare; insieme con questi è preso e codotto da lui Lucio Pupio, centurione primipilo, che in precedenza aveva avuto questo stesso grado nell'esercito di Gneo Pompeo. Ma Cesare loda i soldati di Attio, manda via libero Pupio, ringrazia gli osimati e promette di non dimenticare questo loro atto."
(Traduzione di F. Brindesi, E. Barelli, G. Bruno, L. Loreto)
Marco Tullio Cicerone: Brutus - 169
"Atque etiam apud socios et Latinos oratores habiti sunt Q. Vettius Vettianus e Marsis, quem ipse cognovi, prudens vir et in dicendo brevis; Q. D. Valerii Sorani, vicini et familiares mei, non tam in dicendo admirabiles quam docti et Graecis litteris et Latinis; C. Rusticelius Bononiensis, is quidem et exercitatus et natura volubilis; omnium autem eloquentissumus extra hanc urbem T. Betutius Barrus Asculanus, cuius sunt aliquot orationes Asculi habitae; illa Romae contra Caepionem nobilis sane, quoi or ationi Caepionis ore respondit Aelius, qui scriptitavit orationes multis, orator ipse numquam fuit."
"E anche presso gli alleati e i latini ebbero fama di oratori Quinto Vezzio Vezziano della Marsica, che ho conosciuto di persona, uomo assennato e conciso nel parlare; Quinto e Decimo Valerii di Sora, miei vicini e amici, non tanto ammirevoli nell'eloquenza quanto dotti nelle lettere latine e greche; Gaio Rusticelio di Bologna, ben esercitato e con una naturale facilità di parola; ma il più eloquente di tutti quelli che erano estranei alla nostra città fu Quinto Betuzio Barro di Ascoli del quale vi sono alcune orazioni tenute ad Ascoli; molto nota è quella tenuta a Roma contro Cepione; a essa rispose, per bocca di Cepione, Elio, il quale scriveva orazioni per molti, ma non fu mai un oratore lui stesso."
Caio Giulio Cesare: Commentarii de bello civili - lib.I, 15
"Auximo Caesar progressus omnem agrum Picenum percurrit. Cunctae earum regionum praefecturae libentissimis animis eum recipiunt exercitumque eius omnibus rebus iuvant. Etiam Cingulo, quod oppidum Labienus constituerat suaque pecunia exaedificaverat, ad eum legati veniunt quaeque imperaverit se cupidissime facturos pollicentur. Milites imperat: mittunt. Interea legio XII Caesarem consequitur. Cum his duabus Asculum Picenum proficiscitur. Id oppidum Lentulus Spinther X cohortibus tenebat; qui Caesaris adventu cognito profugit ex oppido cohortesque secum abducere conatus magna parte militum deseritur. Relictus in itinere cum paucis incidit in Vibullium Rufum missum a Pompeio in agrum Picenum confirmandorum hominum causa. A quo factus Vibullius certior, quae res in Piceno gererentur, milites ab eo accipit, ipsum dimittit. Item ex finitimis regionibus quas potest contrahit cohortes ex delectibus Pompeianis; in his Camerino fugientem Lucilium Hirrum cum sex cohortibus, quas ibi in praesidio habuerat, excipit; quibus coactis XII efficit. Cum his ad Domitium Ahenobarbum Corfinium magnis itineribus pervenit Caesaremque adesse cum legionibus duabus nuntiat. Domitius per se circiter XX cohortes Alba, ex Marsis et Paelignis, finitimis ab regionibus coegerat."
"Cesare, movendo da Osimo, attraversa l'intero Piceno. Tutte le prefetturedi quelle regioni lo accolgono con grande entusiasmo e riforniscono il suo esercito di tutto il necessario. Anche da Cingoli, città organizzata da Labieno e completata a sue spese, vengono da lui ambasciatori e assicurano di essere ben felici di eseguire i suoi ordini. Egli chiede soldati; e quelli li mandano. In tanto Cesare è raggiunto dalla dodicesima legione; e parte con queste due alla volta di Ascoli Piceno. La città era occupata con dieci coorti da Lentulo Spintere, che, alla notizia dell'arrivo di Cesare, fugge tentando di condurre con sé le coorti, ma è abbandonato dalla maggior parte dei suoi soldati. Rimasto in marcia con pochi uomini, s'incontra con Vibullio Rufo, mandato da Pompeo nell'agro Piceno per risollevare gli animi. Vibullio, informato da lui sugli avvenimenti del Piceno, prende il comando dei suoi soldati e lo congeda. Nello stesso modo, dalle regioni vicine, riunisce le coorti che può con le leve ordinate da Pompeo; fra queste accoglie Lucilio Irro che fuggiva da Camerinocon le sei coorti che aveva là tenuto di guarnigione, e unendole tutte raggiunge il numero di tredici. Con queste raggiunge a tappe forzate Domizio Enobarbo a Corfinio, e gli annuncia che Cesare è vicino con due legioni. Domizio aveva per suo conto raccolto venti coorti da Alba, dai territori dei Marsi e dei Peligni, e dalle regioni vicine."
(Traduzione di F. Brindesi, E. Barelli, G. Bruno, L. Loreto)
Marco Tullio Cicerone: Catilinarie Orationes - II, 5-6
"Itaque ego illum exercitum prae Gallicanis legionibus et hoc dilectu, quem in agro Piceno et Gallico Q. Metellus habuit, et his copiis, quae a nobis cotidie comparantur, magno opere contemno collectum ex senibus desperatis, ex agresti luxuria, ex rusticis decoctoribus, ex iis, qui vadimonia deserere quam illum exercitum maluerunt; quibus ego non modo si aciem exercitus nostri, verum etiam si edictum praetoris ostendero, concident. Hos, quos video volitare in foro, quos stare ad curiam, quos etiam in senatum venire, qui nitent unguentis, qui fulgent purpura, mallem secum suos milites eduxisset; qui si hic permanent, mementote non tam exercitum illum esse nobis quam hos, qui exercitum deseruerunt, pertimescendos. Atque hoc etiam sunt timendi magis, quod, quid cogitent, me scire sentiunt neque tamen permoventur.
Video, cui sit Apulia adtributa, quis habeat Etruriam, quis agrum Picenum, quis Gallicum, quis sibi has urbanas insidias caedis atque incendiorum depoposcerit. Omnia superioris noctis consilia ad me perlata esse sentiunt; patefeci in senatu hesterno die; Catilina ipse pertimuit, profugit; hi quid expectant? Ne illi vehementer errant, si illam meam pristinam lenitatem perpetuam sperant futuram. Quod expectavi, iam sum adsecutus, ut vos omnes factam esse aperte coniurationem contra rem publicam videretis; nisi vero si quis est, qui Catilinae similis cum Catilina sentire non putet. Non est iam lenitati locus; severitatem res ipsa flagitat. Unum etiam nunc concedam: exeant, proficiscantur, ne patiantur desiderio sui Catilinam miserum tabescere. Demonstrabo iter: Aurelia via profectus est; si accelerare volent, ad vesperam consequentur."
"Se pertanto io metto a paragone il suo esercito con le nostre legioni galliche, con le reclute raccolte da Metello nel territorio del Piceno e della Gallia Cisalpina, con le milizie che qui sono addestrate ogni giorno, non posso far altro che guardarlo con disprezzo: si tratta d'una masnada di vecchi senza la minima prospettiva, di agricoltori rovinati dagli sperperi, di bifolchi dissipatori, di loschi figuri che sono stati ben contenti di sfuggire al tribunale per debiti e perciò si sono arruolati. Se li metto faccia a faccia non dico con i nostri soldati ma con un editto del pretore, crollano tutti assieme.
Quanto a quelli che vedo aggirarsi per il Foro e persino prender posto in Senato, lustri di pomate, sgargianti di porpora, quelli sì che sarei stato felice se li avesse portati nel suo esercito! Se rimangono qui, ricordatevi bene, saranno più da temere questi, che hanno disertato quell'esercito, che non l'esercito stesso; e tanto più temibili in quanto, benché sappiano che io sono al corrente delle loro mire, non si turbano affatto. Io sono informato: so a chi è stata assegnata la Puglia, a chi l'Etruria, a chi il Piceno, a chi il territorio gallico; chi ha sollecitato il compito degli attentati in Città, gli incendi, gli assassini. Le decisioni che hanno prese l'altra notte mi sono state riferite, lo sanno benissimo perché l'ho dichiarato in Senato l'altro giorno. Catilina stesso s'è messo paura, è scappato: e gli altri, che cosa aspettano? se contano che la mitezza che ho mostrato in principio durerà sempre, si sbagliano di grosso!
Ho già raggiunto lo scopo e cioè che voi vi rendeste conto senza ombra di dubbio che è stata ordita una congiura ai danni dello Stato - a meno che non ci sia qualcuno che creda che i compari di Catilina non condividono le sue idee. Non c'è più posto per l'indulgenza. La situazione esige rigore. Voglio far loro ancora una concessione: se ne vadano, non lascino Catilina struggersi di nostalgia. Indicherò loro il percorso: Catilina s'è messo in viaggio sulla Via Aurelia. Se se la sentono di affrettarsi, prima di sera lo raggiungono."
(Traduzione di L. Storoni Mazzolani)
Marco Tullio Cicerone: Catilinarie Orationes - II, 26
"Quae cum ita sint, Quirites, vos, quem ad modum iam antea dixi, vestra tecta vigiliis custodiisque defendite; mihi, ut urbi sine vestro motu ac sine ullo tumultu satis esset praesidii, consultum atque provisum est. Coloni omnes municipesque vestri certiores a me facti de hac nocturna excursione Catilinae facile urbes suas finesque defendent; gladiatores, quam sibi ille manum certissimam fore putavit, quamquam animo meliore sunt quam pars patriciorum, potestate tamen nostra continebuntur. Q. Metellus, quem ego hoc prospiciens in agrum Gallicum Picenumque praemisi, aut opprimet hominem aut eius omnis motus conatusque prohibebit. Reliquis autem de rebus constituendis maturandis, agendis iam ad senatum referemus, quem vocari videtis."
"Al punto in cui siamo, seguitate, Quiriti, come avete fatto finora, a proteggere le vostre case con ronde notturne e sentinelle; quanto a me, ho già provveduto e disposto a che l'Urbe sia sufficientemente difesa: niente paura, niente disordini. Le colonie, i municipi sono stati informati da me della presenza notturna di Catilina; sapranno difendere le città e i territori. I gladiatori, che Catilina teneva per certo d'avere dalla sua, benché siano d'animo più schietto di certi patrizi, saranno tenuti a freno dalle nostre truppe. Q. Metello che io, in previsione di ciò che accade, ho già mandato nel territorio gallico e presso i Piceni, distruggerà Catilina o gli impedirà di muovere un passo, di tenere alcunché; quanto agli altri provvedimenti da prendere, da accelerare, da eseguire, ne riferirò al Senato che, come vedete, convoco."
(Traduzione di L. Storoni Mazzolani)
Plinio il Vecchio: Naturalis Historia - lib. II, 226
"Nihil in Asphaltite Iudeae lacu, qui bitumen gignit, mergi potest nec in Armeniae maioris Aretissa; is quidem nitrosus pisces alit. in Sallentino iuxta oppidum Manduriam lacus, ad margines plenus, neque exhaustis aquis minuitur neque infusis augetur. in Ciconum flumine et in Piceno lacu Velino lignum deiectum lapideo cortice obducitur et in Surio Colchidis flumine adeo, ut lapidem plerumque durans adhuc integat cortex. similiter in flumine Silero ultra Surrentum non virgulta modo inmersa, verum et folia lapidescunt, alias salubri potu eius aquae. in exitu paludis Reatinae saxum crescit."
"Nel lago Asfaltide in Giudea, che produce bitume, non si può sommergere niente; lo stesso nell'Aretissa, in Armenia Maggiore: e quest'ultimo, pur ricco di nitro, contiene dei pesci! Nel Salento, presso la città di Manduria, c'è un lago, pieno fino ai bordi, che non cala ad atingervi, e non aumenta per acqua versata. In un fiume dei Ciconi e nel lago Velino, nel Piceno, un legno buttato in acqua si ricopre di una corteccia pietrosa; e nel Surio, fiume della Colchide, si arriva al punto che per lo più la corteccia, indurendosi, copre anche un sasso. Similmente, nel fiume Silero, dopo Sorrento, non solo arboscelli tuffati dentro, ma anche foglie, si pietrificano, e nondimeno quell'acqua è sana e potabile; all'uscita della palude di Rieti si sviluppa una roccia."
(Traduzione di A. Barchiesi, R. Centi, M. Corsaro, A. Marcone, G. Ranucci)
Plinio il Vecchio: Naturalis Historia - lib. III, 108-111
"In hoc situ ex Aequicolis interiere Comini, Tadiates, Caedici, Alfaterni. Gellianus auctor est lacu Fucino haustum Marsorum oppidum Archippe, conditum a Marsya duce Lydorum; item Vidicinorum in Piceno deletum a Romanis Valerianus. Sabini, ut quidam existimavere, a religione et deum cultu Sebini appellati, Velinos accolunt lacus, roscidis collibus.
Nar amnis exhaurit illos sulpureis aquis Tiberim ex his petens, replet e monte Fiscello Avens iuxta Vacunae nemora et Reate in eosdem conditus. at ex alia parte Anio, in monte Trebanorum ortus, lacus tris amoenitate nobiles, qui nomen dedere Sublaqueo, defert in Tiberim. in agro Reatino Cutiliae lacum, in quo fluctuetur insula, Italiae umbilicum esse M. Varro tradit. infra Sabinos Latium est, a latere Picenum, a tergo Umbria, Appennini iugis Sabinos utrimque vallantibus.
Quinta regio Piceni est, quondam uberrimae multitudinis. CCCLX Picentium in fidem p. R. venere. orti sunt a Sabinis voto vere sacro. tenuere ab Aterno amne, ubi nunc ager Hadrianus et Hadria colonia a mari VI. flumen Vomanum, ager Praetutianus Palmensisque, item Castrum Novum, flumen Batinum, Truentum cum amne, quod solum Liburnorum in Italia relicum est, flumina Albula, Tessuinum, Helvinum, quo finitur Praetutiana regio et Picentium incipit.
Cupra oppidum, Castellum Firmanorum et super id colonia Asculum, Piceni nobilissima intus, Novana. in ora Cluana, Potentia, Numana a Siculis condita, ab iisdem colonia Ancona, adposita promunturio Cunero in ipso flectentis se orae cubito, a Gargano CLXXXIII. intus Auximates, Beregrani, Cingulani, Cuprenses cognomine Montani, Falerienses, Pausulani, Planinenses, Ricinenses, Septempedani, Tolentinates, Traienses, Urbesalvia Pollentini."
"In questa regione, della popolazione degli Equicoli, sono scomparsi i Comini, i Tadiati, i Cedici, gli Alfaterni. Secondo Gelliano, fu inghiottita dal lago Fucino la città marsa di Archippe, fondata da Mursia, duce dei Lidi; secndo Valeriano, fu distrutta dai Romani una città dei Vidicini nel Piceno. I Sabini, così chiamati - come pensano alcuni - dalla loro religiosità e dal culto degli dei, vivono presso i laghi Velini, su umide colline.
L'emissario di questi laghi è il fiume Nera, che dopo averli ricevuti si dirige con le sue acque solforose verso il Tevere; l'immissario è l'Avente, il quale, dopo essere sceso dal monte Fiscello, si getta in essi presso i boschi di Vacuna e presso Rieti. Da un'altra direzione l'Aniene, nato dal monte di Trevi, porta al Tevere l'acqua di tre laghi celebri per la loro bellezza, che dettero il nome a Subiaco. Marco Varrone attesta che il lago di Cotilia, sito nel territorio reatino e nel quale si trova un'isola galleggiante, costituisce il centro d'Italia. La Sabina confina in basso col Lazio, da un lato col Piceno, alle spalle con l'Umbria; sui versanti piceno e umbro la cingono i gioghi dell'Appennino.
La quinta è la regione del Piceno, un tempo densamente popolata: erano 360.000 i Piceni che si arresero al popolo romano. Furono originati dai Sabini, in seguito al voto di una primavera sacra. I loro possessi si estendevano fino al fiume Aterno, dove è ora il territorio di Atri con l'omonima colonia, distante 6 miglia dal mare. Procedendo da Atri, si incontrano il fiume Vomano, il territorio dei Pretuzi e quello dei Palmensi; Castro Nuovo; il fiume Batino; Tronto, col fiume omonimo, la sola città dei Liburni rimasta in Italia; i fiumi Albula, Tesino ed Elvino, il corso del quale segna la fine del territorio dei Pretuzi e l'inizio di quello dei Piceni.
Seguono la città di Cupra, il castello di Fermo e, all'interno, in corrispondenza di questo, la colonia di Ascoli, la più famosa del Piceno interno, e Novana. Sulla costa vengono poi Cluana, Potenza, Numana fondata dai Siculi così come la colonia di Ancona, sita sul promontorio del Conero proprio sul gomito della costa che si ripiega; dista 183 miglia dal Gargano. All'interno si trovano Osimo, i Beregrani, Cingoli, Cupramontana, Falerone, Pausula, Planina, Ricina, Septempeda, Tolentino, Treia e Urbisaglia, abitata dai Pollentini."
(Traduzione di A. Barchiesi, R. Centi, M. Corsaro, A. Marcone, G. Ranucci)
Plinio il Vecchio: Naturalis Historia - lib. III, 112
"Iungetur his sexta regio Umbriam conplexa agrumque Gallicum citra Ariminum. ab Ancona Gallica ora incipit Togatae Galliae cognomine. Siculi et Liburni plurima eius tractus tenuere, in primis Palmensem, Praetutianum Hadrianumque agrum. Umbri eos expulere, hos Etruria, hanc Galli. Umbrorum gens antiquissima Italiae existimatur, ut quos Ombrios a Graecis putent dictos, quod in inundatione terrarum imbribus superfuissent."
"Aggiungeremo a questa la sesta regione, che comprende l'Umbria e il territorio dei Galli al di qua di Rimini. Da Ancona ha inizio la costa detta Gallia Togata. La maggior parte di questa zona fu possesso dei Siculi e dei Liburni, e lo furono in particolare i territori palmense, pretuzio e di Atri. I Siculi e i Liburni ne furono scacciati dagli Umbri, gli Umbri dagli Etruschi, gli Etruschi dai Galli. La popolazione umbra è ritenuta la più antica d'Italia: si crede infatti che gli Umbri fossero stati chiamati Ombrii dai Greci, perché sarebbero sopravvissuti alle piogge quando la terra fu inondata."
(Traduzione di A. Barchiesi, R. Centi, M. Corsaro, A. Marcone, G. Ranucci)
Plinio il Vecchio: Naturalis Historia - lib. III, 38
"Italia dehinc primique eius Ligures, mox Etruria, Umbria, Latium, ibi Tiberina ostia et Roma, terrarum caput, XVI p. intervallo a mari. Volscum postea litus et Campaniae, Picentinum inde ac Lucanum Bruttiumque, quo longissime in meridiem ab Alpium paene lunatis iugis in maria excurrit Italia. ab eo Graeciae ora, mox Sallentini, Poeduculi, Apuli, Paeligni, Frentani, Marrucini, Vestini, Sabini, Picentes, Galli, Umbri, Tusci, Veneti, Carni, Iapudes, Histri, Liburni."
"Segue l'Italia e, primo popolo di essa che si incontra, i Liguri, poi l'Etruria, l'Umbria, il Lazio che comprende la foce del Tevere e Roma, capitale del mondo, sita a 16 miglia di distanza dal mare. Poi il litorale dei Volsci e quello della Campania, quindi i litorali picentino, lucano e bruzio. Qui l'Italia, scorrendo verso mezzogiorno fino al mare a partire dalla catena delle Alpi, fatta quasi a forma di mezzaluna, raggiunge il suo punto estremo. Dal Bruzio comincia la costa della Grecia; vengono poi i Salentini, i Peduculi, gli Apuli i Peligni, i Frentani, i Marrucini, i Vestini, i Sabini, i Piceni, i Galli, gli Umbri, gli Etruschi, i Veneti, i Carni, gli Iapudi, gl'Istri, i Liburni."
(Traduzione di A. Barchiesi, R. Centi, M. Corsaro, A. Marcone, G. Ranucci)
Plinio il Vecchio: Naturalis Historia - lib. VI, 218
"Septima divisio ab altera Caspii maris ora incipit, vadit super Callatim, Bosporum, Borysthenen, Tomos, Thraciae aversa, Triballos, Illyrici reliqua, Hadriaticum mare, Aquileiam, Altinum, Venetiam, Vicetiam, Patavium, Veronam, Cremonam, Ravennam, Anconam, Picenum, Marsos, Paelignos, Sabinos, Umbriam, Ariminum, Bononiam, Placentiam, Mediolanum omniaque ab Appennino, transque Alpis Galliam Aquitanicam, Viennam, Pyrenaeum, Celtiberiam. umbilico XXXV pedum umbrae XXXVI, ut tamen in parte Venetiae exaequatur umbra gnomoni. amplissima diei spatia horarum aequinoctialium XV et quintarum partium horae trium."
"Il settimo parallelo inizia dalla costa più lontana del mar Caspio e comprende Callati, il Bosforo, il Boristene, Tomi, la parte posteriore della Tracia, i Triballi, il resto dell'Illirico, il mare Adriatico, Aquileia, Altino, la Venezia, Vicenza, Padova, Verona, Cremona, Ravenna, Ancona, il Piceno, i Marsi, i Peligni, i Sabini, l'Umbria, Rimini, Bologna, Piacenza, Milano, e tutte le zone ai piedi degli Appennini e, oltre le Alpi, l'Aquitania, Vienne, i Pirenei e la Celtiberia. A uno gnomone di 35 piedi corrisponde un'ombra di 36, sebbene in qualche parte della Venezia le due misure si equivalgono. Il giorno più lungo dura 15 ore equinoziali più tre quinti."
(Traduzione di A. Barchiesi, R. Centi, M. Corsaro, A. Marcone, G. Ranucci)
Plinio il Vecchio: Naturalis Historia - lib. II, 182
"Vasaque horoscopa non ubique eadem sunt usui, in trecenis stadiis aut, ut longissime, in quingenis mutantibus semet umbris solis. itaque umbilici, quem gnomonem appellant, umbra in Aegypto meridiano tempore aequinoctii die paulo plus quam dimidiam gnomonis mensuram efficit, in urbe Roma nona pars gnomonis deest umbrae, in oppido Ancona superest quinta tricesima, in parte Italiae, quae Venetia appellatur, isdem horis umbra gnomoni par fit."
"Inoltre, non si possono usare ovunque gli stessi quadranti solari, in quanto nel giro di trecento stadi, cinquecento al massimo, le ombre del sole si modificano. Pertanto l'ombra dello stilo, che chiamano "gnomone", a mezzogiorno dell'equinozio ammonta in Egitto a un pò più di metà dello gnomone; a Roma l'ombra è al di sotto di 1/9; nella città di Ancona lo supera di 1/35; nella regione d'Italia chiamata Venezia, alle stesse ore, l'ombra risulta pari alla lunghezza dello gnomone."
(Traduzione di A. Barchiesi, R. Centi, M. Corsaro, A. Marcone, G. Ranucci)
Plinio il Vecchio: Naturalis Historia - lib. III, 115
"Octava regio determinatur Arimino, Pado, Appennino. in ora fluvius Crustumium, Ariminum colonia cum amnibus Arimino et Aprusa, fluvius Rubico, quondam finis Italiae. ab eo Sapis et Utis et Anemo, Ravenna Sabinorum oppidum cum amne Bedese, ab Ancona CV, nec procul a mari Umbrorum Butrium. intus coloniae Bononia, Felsina vocitata tum cum princeps Etruriae esset, Brixillum, Mutina, Parma, Placentia."
"L'ottava regione è compresa fra il fiume Rimini, il Po e l'Appennino. Sulla costa è il fiume Rubicone, un tempo confine d'Italia. Poi i fiumi Savio, Utis e Lamone; Ravenna, città sabina sul fiume Bedesi, posta a 105 miglia da Ancona, e Budrio, città umbra non lontana dal mare. All'interno solo le colonie di Bologna, chiamata Felsina quando era la città più importante dell'Etruria e Brescello, Modena, Parma, Piacenza."
(Traduzione di A. Barchiesi, R. Centi, M. Corsaro, A. Marcone, G. Ranucci)
Liber Coloniarum: 227, 1-16
Ager Anconitanus limitibus Graccanis in centuriis est adsignatus.
Ager Ausimatis item est adsignatus.
Ager Ausculanus locis uariis limitibus intercisiuis est
adsignatus, et terminis Claudianis, qui in modum arcellae
facti sunt, et demetitus, et aliis ligneis
sacrificalibus.
quorum limitum distantia est ped. 8CC et infra. ceterum
in absoluto remansit, et riuorum tenor finitimus obser-
batur. ager eius militibus est adsignatus: sed sunt loca
quae in assignationem non
uenerunt.
Ager Adrianus, item et ager Nursinus et Falerionensis et
Pinnensis, limitibus maritimis et Gallicis quos
dicimus
decimanos et kardines.
nam eorum delimitatio est
per
rationem arcarum uel riparum. uel canabula et nouerca,
quod tegulis construitur. aliis uero locis muros macerias
scorofiones congerias carbunculos, et uariis locis termi-
Mansi, Sacrorum Conciliorum Nova Amplissima Collectio: VIII, 234
"Basilius Episcopus Ecclesiae Tollenatis subscripsi."
"Basilio Vescovo della Chiesa di Tolentino sottoscrissi."
Gregorio Magno: Epistulae - lib. IX, 52
"Demetrianum et Valerianum, clericos Firmanos, per Fabium episcopum duodeuiginti adhinc annis ab hostibus redemptos, ut redemptionis pecuniam restituant, cogi uetat.
598, Nou.
Gregorius Demetriano et Valeriano clericis Firmanis
Et sacrorum canonum statuta et legalis permittit auctoritas licite res ecclesiasticas in redemptione captiuorum impendi. Et ideo quia edocti a uobis sumus ante annos fere decem et octo uirum reuerentissimum quondam Fabium episcopum ecclesiae Firmanae pro redemptione uestra ac patris uestri Passiui fratris et coepiscopi nostri, tunc uero clerici, necnon matris uestrae undecim libras argenti de eadem ecclesia hostibus impendisse atque uos ex hoc quandam habere formidinem, ne hoc quod datum est a uobis quolibet tempore repetatur, huius praecepti auctoritate suspicionem uestram praeuidimus auferendam, constituentes nullam uos exinde heredesque uestros quolibet tempore repetitionis molestiam sustinere nec a quoquam uobis aliquam obici quaestionem, quia ratio aequitatis exposcit ut, quod studio pietatis impensum est, ad redemptorum onus uel afflictionem non debeat pertinere."
"Proibisce che Demetriano e Valeriano, chierici della Chiesa di Fermo, riscattati diciotto anni prima dai nemici per opera del vescovo Fabio, siano obbligati a restituire il prezzo del riscatto.
598, Novembre
Gregorio a Demetriano e Valeriano chierici di Fermo
Tanto le prescrizioni dei sacri canoni quanto l'autorità della legge civile permettono che si possano impiegare i beni ecclesiastici per il riscatto dei prigionieri. Perciò, essendo stati da voi informati che quasi diciotto anni fa il defunto reverendissimo Fabio, vescovo della Chiesa di Fermo, sborsò ai nemici undici libbre di argento per il riscatto vostro, di vostro padre Passivo, fratello e coepiscopo nostro, allora chierico, nonché di vostra madre e che voi nutrite il timore che vi sia richiesto in qualsiasi momento ciò che è stato dato, abbiamo pensato di togliervi con l'autorità di questo decreto ogni paura, stabilendo che d'ora in poi né voi né i vostri eredi sopportiate in qualsiasi momento il peso della restituzione e che non vi si obbietti da alcuno nessuna questione, poiché l'equità richiede che quanto si è impiegato per slancio di bontà, non deve risultare di peso e di tormento per i riscattati."
Gregorio Magno: Epistulae - lib. IX, 72
"Passiuo, episcopo Firmano, mandat ut oratorium ad Anione comite in castro Aprutiensi coditum beato Petro consecret.
598, Nou.-Dec.
Gregorius Passivo episcopo de Firmo
Anio comes castri Aprutiensis [Firmensi] petitoria nobis insinuatione suggessit, quod habetur in subditis, in superscripto castro oratorium se sumptu proprio pro sua deuotione fundasse, quod in honore beati Petri apostolorum principis desiderat consecrari. Et ideo, frater carissime, si in tuae dioceseos, in qua uisitationis impendis officium, memorata constructio iure consistit et nullum corpus ididem constat humatum, precepta primitus donatione legitima, id est fundos campulos cm conduma una, boues domitos parium unum, uaccas duas, argenti libras quattuor, lectum stratum unum, in peculio capita quindecim, aeramenta capita duo, ferramenta numero quinque, praestantes liberos a tributis fiscalibus solidos sex, gestisque municipalibus allegata, praedictum oratorium sollemniter consecrabis. Presbyterum quoque te illic constituere uolumus cardinalem, ut, quotiens praefatus conditor fieri sibi missas fortasse uoluerit uel fidelium concursus exegerit, nihil sit quod ad sacra missarum exhibenda sollemnia ualeat impedire. Sanctuaria uero suscepta sui cum reuerentia collocabis."
"Ordina a Passivo, vescovo di Fermo, di consacrare in onore di san Pietro un oratorio eretto nella fortezza di Teramo dal conte Anione.
598, Novembre-Dicembre
Gregorio a Passivo vescovo di Fermo
Anione, conte della fortezza di Teramo, con una domanda scritta che si trova in calce alla lettera, ci ha fatto sapere di aver edificato a sue spese per sua devozione un oratorio che desidera sia consacrato in onore di san Pietro, principe degli apostoli. Perciò, fratello carissimo, se questa costruzione sorge nella guirisdizione della diocesi in cui eserciti l'ufficio di visitatore e risulta che nel suo posto non è inumato nessun cadavere, avendone ricevuta in primo luogo la legittima donazione, cioè dei piccoli fondi con una abitazione e gli annessi per un colono, un paio di buoi addomesticati, due vacche, quattro libbre di argento, un letto a giacere, un gregge di quindici capi, due utensili in bronzo, cinque utensili in ferro, sei soldi a disposizione liberi da tributi fiscali, se il tutto è allegato agli atti del municipio, consacrerai solennemente il predetto oratorio. Vogliamo anche che assegni ivi un presbitero proprio, affinché tutte le volte nelle quali il suddetto fondatore volesse che gli sia celebrata la Messa o l'accorrere dei fedeli lo richieda, non ci sia nulla ad impedire che questa Messa si celebri. Le teche delle reliquie poi che hai ricevute, le collocherai con la venerazione dovuta."
Plinio il Vecchio: Naturalis Historia - lib. III, 129
"Histria ut paeninsula excurrit. latitudinem eius XL, circuitum CXXV prodidere quidam, item adhaerentis Liburniae et Flanatici sinus, alii CCXXV, alii Liburniae CLXXX. nonnulli in Flanaticum sinum Iapudiam promovere a tergo Histriae CXXX, dein Liburniam CL fecere. Tuditanus, qui domuit Histros, in statua sua ibi inscripsit: ab Aquileia ad Titium flumen stadia MM. oppida Histriae civium Romanorum Agida, Parentium, colonia Pola, quae nunc Pietas Iulia, quondam a Colchis condita; abest a Tergeste CV. mox oppidum Nesactium et — nunc finis Italiae — fluvius Arsia. ad Polam ab Ancona traiectus CXX p. est."
"L'Istria si protende in forma di penisola. La sua larghezza è di 40 miglia. Quanto al perimetro, per alcuni esso è di 125 miglia, come di 125 miglia è quello della confinante Liburnia col golfo Flanatico; altri ritengono che il complesso delle due regioni abbia un perimetro di 225 miglia; altri, ancora, ne attribuiscono 180 alla sola Liburnia. C'è stato poi chi ha fatto estendere per 130 miglia, fino al golfo Flanatico, la Iapudia che si trova alle spalle dell'Istria, e ha stimato che la successiva costa della Liburnia ne misurasse 150. Tuditano, che sottomise gl'Istri, fece scolpire sulla sua statua queste parole: "Da Aquileia al fiume Tizio ci sono 2000 stadi". In Istria sono città di diritto romano Agida e Parenzo; è colonia Pola, chiamata ora Pietà Giulia, di antica fondazione colchide, che dista 105 miglia da Trieste. Seguono la città di Nesazio e il fiume Arsia, l'attuale confine dell'Italia. Da Ancona a Pola la distanza per mare è di 120 miglia."
(Traduzione di A. Barchiesi, R. Centi, M. Corsaro, A. Marcone, G. Ranucci)
Gregorio Magno: Dialoghi - lib. I, VI, 1-2
Testo in latino momentaneamente non disponibile
"Marcellino, vescovo di Ancona
Della stessa Chiesa di Ancona fu vescovo un altro uomo venerabile, Marcellino. A causa della gotta gli riusciva eccessivamente difficile e penoso camminare, tanto che, in caso di necessità, doveva essere portato a braccia dai suoi servi. Un giorno, a causa di una negligenza, nella città di Ancona divampò un furioso incendio. Poiché le fiamme si propagavano paurosamente, tutti i cittadini accorsero per tentare di spegnerlo; ma, mentre non ci si dava tregua nel gettare acqua sul fuoco, l'incendio andava assumendo un'estensione tale da far temere che l'intera città sarebbe diventata un rogo. Le fiamme, che si propagavano da un luogo all'altro, già avevano devastato una non piccola parte dell'abitato, e nessuno riusciva a domare l'incendio. Ma ecco giungere il Vescovo portato a braccia dai suoi servi. Visto l'incombente, grave pericolo, ordinò loro: "Mettetemi davantial fronte del fuoco".
Così fu fatto: lo deposero dove sembrava scatenata tutta la violenza dell'incendio. Le fiamme - fenomeno insolito - incominciarono a volgersi indietro come in un risucchio; con tale inversione della loro forza devastatrice, pareva che gridassero di non poter oltrepassare il Vescovo. In tal modo il fuoco, arrestato da quella barriera, andò spegnendosi e le fiamme non osarono ghermire nessun altro edificio. Ti è facile riconoscere, Pietro, che peso abbia avuto in ciò la santità: un uomo malato rimane seduto e con la preghiera soffoca le fiamme.
PIETRO: Lo vedo ed ammutolisco dallo stupore."
Gregorio Magno: Dialoghi - lib. I, V, 1-6
Testo in latino momentaneamente non disponibile
"Costanzo, sacrestano della chiesa di Santo Stefano presso Ancona
Ciò che mi accingo a narrare l'ho appreso da un mio confratello nell'episcopato, il quale per molti anni, da monaco, visse in Ancona una vita che non conobbe mediocrità. Possono confermare ciò anche alcune persone già al quanto avanti negli anni, che vivono con noi e che provengono da quelle parti.
Presso la città di Ancona sorge una chiesa dedicato a santo Stefano martire, nella quale prestava servizio, in qualità di sacristano, un uomo di vita intemerata, Costanzo. La fama della sua santità, diffusasi in lungo e in largo correva sulla bocca di tutti; egli, infatti, disprezzando prefondamente tutte le cose della terra, anelava di vero cuore ai soli beni celesti. Un giorno, essendo venuto a mancare l'olio della chiesa, quell'uomo di Dio si trovò nell'assoluta impossibilità di accendere le lampade; perciò le riempì d'acqua e, secondo il suo solito, vi pose in mezzo uno stoppino di corteccia di papiro, che poi, accostandovi il fuoco, accese. Nelle lampade l'acqua bruciò come se fosse olio. Considera, dunque, Pietro, quanto dovesse essere grande il merito di Costanzo, se, spinto dalla necessità, arrivò a cambiare la natura di un elemento.
PIETRO: Quel che sento suscita in me un' immensa meraviglia. Ma vorrei sapere come potesse conservasi umile nel suo intimo un uomo la cui eccezionalità appariva con tanta evideza all'esterno.
GREGORIO: E' giusto che tu voglia sapere quale sia l'intimo di un uomo che si vede operatore di miracoli; infatti, i prodigi che si compiono visibilmente, data la tentazione in essi naturalmente insita, possono riuscire dannosi per lo spirito. Però, se tu consideri anche una sola azione di questo venerando uomo, subito ne riconosci la singolare umiltà.
PIETRO: Dopo avermi raccontato quel suo grande miracolo, non ti rimane che edificarmi parlandomi dell'umiltà del suo cuore.
GREGORIO: Poichè era andata crescendo la fama della santità di Costanzo, molte persone di diverse province erano ansiosamente bramose di vederlo. Mossoda tale brama, un giorno venne ad Ancona un contadino di un paese lontano. Il caso volle che proprio in quel momento il sant'uomo si trovasse su uno scaleo di legno, intento ad alimentare le lampade. Era basso di statura, mingherlino e brutto di aspetto. Poichè il contadino che era arrivato per vederlo chiedeva di lui e domandava con insistenza che glielo mostrassero, chi lo conosceva glielo additò. Ma, dal momento che la stoltezza degli uomini misura il merito dall'aspetto, vedendolo così piccolo e senza apparenza alcuna, non riusciva a credere che quell'uomo fosse proprio Costanzo. La sua rozza mente, infatti, era incapace di conciliare ciò che aveva sentito dire con ciò che vedeva, e riteneva impossibile che apparisse così insignificante ai suoi occhi colui che la fama gli aveva fatto credere tanto grande. Poichè molti gli avevano assicurato che era proprio Costanzo, quel contadino lo schernì con sarcasmo, escalmando: "Lo credevo un grand'uomo, ma costui non ha nulla dell'uomo".
All'udire ciò, l'uomo di Dio, Costanzo, al colmo della gioia, imediatamente lasciò le lampade che stava alimentando, scese in tutta fretta dallo scaleo ed in un baleno eccolo stretto a quel contadino in un abbraccio pieno di trasporto; mentre lo abbracciava e lo copriva di baci, incominciò a ringraziarlo perchè lo aveva giudicato in tal modo, e disse: "Tu sei l'unico ad aver avuto gli occhi aperti su di me".
Qesto episodio ci consente di misurare l'umiltà di Costanzo, che fu preso da vivo trasporto d'amore proprio verso chi lo scherniva. Infatti, nulla rivela la realtà segreta di un individuo quanto un'ingiuria che gli venga fatta. Come i superbi godono d'essere encomiati, così generalmente gli umili si rallegrano d'essere coperti di disprezzo. E quando s'accorgono di apparire abietti anche agli occhi altrui, proprio allora si rallegrano, perchè trovano confermata la disistima che hanno di se.
PIETRO: Riconosco che quest'uomo fu visibilmente grande per i miracoli, ma ancor più grande nel suo intimo per l'umiltà."
Gaio Sallustio Crispo: De coniuratione Catilinae - 42
"Isdem fere temporibus in Gallia citeriore atque ulteriore item in agro Piceno Bruttio Apulia motus erat. Namque illi quos ante Catilina dimiserat inconsulte ac veluti per dementiam cuncta simul agebant. Nocturnis consiliis armorum atque telorum portationibus festinando agitando omnia plus timoris quam periculi effecerant. Ex eo numero compluris Q. Metellus Celer praetor ex senatus consulto causa cognita in vincula coniecerat item in citeriore Gallia C. Murena qui ei provinciae legatus praeerat."
"Circa negli stessi giorni scoppiarono rivolte nella Gallia Cisalpina e Transalpina, nonché nella zona picena, nel Bruzio, nell'Apulia. Infatti, coloro che Catilina in precedenza aveva mandato là, eseguivano le manovre simultaneamente, come fossero sconsiderati o pazzi: tenevano riunioni notturne, facevano trasportare armi da una parte all'altra, preparavano sommosse; produssero più timore che danno. La maggior parte di costoro fu posta in catene dal pretore Q. Metello Celere, il quale aveva espletato l'indagine secondo le disposizioni del Senato; lo stesso fece Caio Murena nella Gallia Cisalpina, regione che governava in qualità di legato."
(Traduzione di F. Casorati, S. Perezzani, S. Usai)
Gaio Sallustio Crispo: De coniuratione Catilinae - 57
"Sed postquam in castra nuntius pervenit Romae coniurationem patefactam, de Lentulo et Cethego ceterisque, quos supra memoravi, supplicium sumptum, plerique, quos ad bellum spes rapinarum aut novarum rerum studium illexerat, dilabuntur; reliquos Catilina per montis asperos magnis itineribus in agrum Pistoriensem abducti eo consilio, uti per tramites occulte perfugeret in Galliam Transalpinam. At Q. Metellus Celer cum tribus legionibus in agro Piceno praesidebat ex difficultate rerum eadem illa existumans, quae supra diximus, Catilinam agitare. Igitur ubi iter eius ex perfugis cognovit, castra propere movit ac sub ipsis radicibus montium consedit, qua illi descensus erat in Galliam properanti. Neque tamen Antonius procul aberat, utpote qui magno exercitu locis aequioribus expiditus in fuga sequeretur. Sed Catilina, postquam videt montibus atque copiis hostium sese clausum, in urbe res advorsas, neque fugae neque praesidi ullam spem, optumum factu ratus in tali re fortunam belli temptare, statuit cum Antonio quam primum confligere. Itaque contione advocata huiusce modi orationem habuit:"
"Dopo che giunse all'accampamento la notizia che a Roma la congiura era stata scoperta e che Lentulo e Cetego e gli altri, da me nominati in precedenza, erano stati messi a morte, la maggior parte di coloro che si erano lasciati coinvolgere nella guerra dalla speranza di guadagni e dal desiderio di rivoluzione si dileguò; Catilina allora condusse quelli che erano rimasti al suo fianco verso le campagne di Pistoia, a marce forzate e per aspre montagne, con l'intenzione di fuggire da lì, attraverso scorciatoie segrete, nella Gallia Transalpina. Ma Quinto Metello Celere stava a presidio, con tre legioni, del Piceno e poteva valutare le mosse di Catilina dalla difficoltà del percorso, cui ho prima accennato. Dunque, quando venne a conoscere l'itinerario di Catilina dalle rivelazioni dei disertori, mosse prontamente le truppe e le fece stanziare alle falde dei monti dai quali Catilina sarebbe disceso per raggiungere la Gallia. Antonio, poi, non era lontano da quei luoghi, per il fatto che con il suo grande esercito poteva raggiungere speditamente i fuggiaschi per luoghi pianeggianti. Ma Catilina, quando si trovo circondato dalle montagne e dai nemici e si rese conto che a Roma le cose erano andate diversamente dal previsto, che non poteva nè contare su aiuti, nè darsi alla fuga, ritenne che in quella circostanza fosse quanto mai opportuno tentare la guerra; decise pertanto di scontrarsi, quanto prima, con Antonio. E radunati i suoi, tenne un discorso di questo tenore:"
(Traduzione di F. Casorati, S. Perezzani, S. Usai)
Ammiano Marcellino: Res gestae a fine Corneli Taciti - lib.XV, 7, 1-10
"A LEONTIO PRAEFECTO URBI POPULI R. SEDITIONES REPRESSAE. LIBERIUS EPISCOPUS SEDE PULSUS
Dum has exitiorum communium clades suscitat turbo feralis, urbem aeternam Leontius regens multa spectati iudicis documenta praebebat in audiendo celer, in disceptando iustissimus, natura benivolus, licet auctoritatis causa servandae acer quibusdam videbatur et inclinatior ad damnandum. Prima igitur causa seditionis in eum concitandae vilissima fuit et levis. Philoromum enim aurigam rapi praeceptum secuta plebs omnis velut defensura proprium pignus terribili impetu praefectum incessebat ut timidum, sed ille stabilis et erectus inmissis apparitoribus correptos aliquos vexatosque tormentis nec strepente ullo nec obsistente insulari poena multavit. Diebusque paucis secutis cum itidem plebs excita calore quo consuevit vini causando inopiam, ad Septemzodium convenisset, celebrem locum, ubi operis ambitiosi Nymphaeum Marcus condidit imperator, illuc de industria pergens praefectus ab omni toga apparitioneque rogabatur enixius, ne in multitudinem se adrogantem inmitteret et minacem, ex commotione pristina saevientem: difficilis ad pavorem recte tetendit adeo, ut eum obsequentium pars desereret licet in periculum festinantem abruptum. Insidens itaque vehiculo cum speciosa fiducia contuebatur acribus oculis tumultuantium undique cuneorum veluti serpentium vultus perpessusque multa dici probrosa agnitum quendam inter alios eminentem vasti corporis rutilique capilli, interrogavit, an ipse esset Petrus Valvomeres, ut audierat, cognomento: eumque cum esse sonu respondisset obiurgatorio, ut seditiosorum antesignanum olim sibi conpertum, reclamantibus multis post terga manibus vinctis suspendi praecepit. Quo viso sublimi tribuliumque adiumentum nequicquam implorante vulgus omne paulo ante confertum per varia urbis membra diffusum ita evanuit ut turbarum acerrimus concitor tamquam in iudiciali secreto exaratis lateribus ad Picenum eiceretur, ubi postea ausus eripere virginis non obscurae pudorem Patruini consularis sententia supplicio est capitali addictus.
Hoc administrante Leontio Liberius Christianae legis antistes a Constantio ad comitatum mitti praeceptus est tamquam imperatoriis iussis et plurimorum sui consortium decretis obsistens in re, quam brevi textu percurram. Athanasium episcopum eo tempore apud Alexandriam ultra professionem altius se efferentem scitarique conatum externa, ut prodidere rumores adsidui, coetus in unum quaesitus eiusdem loci multorum synodus ut appellant removit a sacramento quod optinebat. Dicebatur enim fatidicarum sortium fidem, quaeve augurales portenderent alites scientissime callens, aliquotiens praedixisse futura: super his intendebantur ei alia quoque a proposito legis abhorrentia, cui praesidebat. Hunc per subscriptionem abicere sede sacerdotali paria sentiens ceteris iubente principe Liberius monitus, perseveranter renitebatur nec visum hominem nec auditum damnare nefas ultimum saepe exclamans, aperte scilicet recalcitrans imperatoris arbitrio. Id enim ille, Athanasio semper infestus licet sciret impletum, tamen auctoritate quoque potiore aeternae urbis episcopi firmari desiderio nitebatur ardenti: quo non impetrato Liberius aegre populi metu, qui eius amore flagrabat, cum magna difficultate noctis medio potuit asportari."
"IL PREFETTO DI ROMA LEONZIO REPRIME SEDIZIONI DEL POPOLO ROMANO. IL VESCOVO LIBERIO E' CACCIATO DALLA SUA SEDE
Mentre un turbine portatore di rovina mette in moto queste catostrofi di morti generalizzate, [Flavio] Leonzio, che amministrava [come prefetto: 13 giugno 356 - 28 aprile 357] l'Urbe eterna, offriva molte prove di essere un magistrato ammirevole: veloce nel dare ascolto [a chi lo chiedeva], giustissimo nelle decisioni giudiziarie, benevolo di natura anche se a qualcuno appariva aspro nel preservare la sua autorità e troppo incline a condannare. Del profilo più basso e di poco valore fu il primo motivo che provocò contro di lui una rivolta. L'auriga Filoromo era stato arrestato e tutta la plebe lo seguiva come se si proponesse di difendere...un figlio suo! Con violenza terrificante muoveva accuse al prefetto, che giudicava persona timida: lui però, restando fermo e a testa alta, immise tra la folla suoi subalterni. Alcuni popolani furono arrestati e poi sottoposti a tortura e, senza che nessuno strepitasse o facesse resistenza, condannati all'esilio su un'isola. Alcuni giorni dopo, la plebe, agitata dalle solite caldane con la scusa che il vino mancava, si era radunata a Settezodio (località molto frequentata: imperatore Marco [Aurelio] vi aveva fatto costruire un ninfeo, opera pretenziosa) e lì il prefetto venne volutamente; eppure, magistrati e impiegati [al suo seguito] lo pregavano con forza di non immettersi fra quella folla arrogante e minacciosa, imbestialita per l'agitazione di cui era stata preda nei giorni precedenti. Inaccessibile dalla paura, [Leonzio] continuò ad andare diritto, cosicchè una parte del suo seguito abbandonò lui che pur stava affrettandosi incontro a un pericolo rovinoso. A bordo di un cocchio, con ammirevole fiducia [in se stesso] osservava con occhi attenti i volti (simili a serpenti) delle persone assembrate e da ogni parte tumultuanti; sopportava che gli lanciassero insulti, poi, riconosciuto un tale che fra gli altri si segnalava per grossezza fisica e capelli rossi, gli domandò se fosse Pietro detto Valvomere, come aveva sentito dire. Con tono offensivo quello gli rispose che lo era. [Leonzio] ordinò allora, anche se molti protestavano, che quell'individuo (capobanda dei sediziosi, che da tempo lui ben conosceva) con le mani legate dietro la schiena venisse appeso [a una colonna per essere frustato]. Vistolo sollevato in alto e che invano implorava l'aiuto dei suoi... compari di tribù, tutta la folla fino a poco prima ammassata si sparpagliò per quartieri diversi della città e scomparve alla vista in modo così totale, che [Valvomere], il terribile agitatore di tumulti, ebbe le spalle frustate senza che ne derivassero subbugli... come se ricevesse le bastonate dentro il locale addetto all'indagine giudiziaria! [Poi] fu espulso nel Piceno; e qui, in seguito, rubato il pudore a una vergine di condizione sociale non bassa, su sentenza del governatore Patruino fu condannato a morte.
Durante il periodo in cui [Flavio] Leonzio amministrava Roma, fu dato ordine da Costanzo che Liberio (vescovo [a Roma] della religione cristiana [anni 352 - 366]) fosse fatto venire [a Milano] a palazzo con l'accusa di opporsi agli ordini dell'imperatore e ai decreti [stabiliti nei sinodi: anno 355 a Tiro; anno 341 ad Antiochia; anno 355 a Milano] di molti suoi correligionari. La faccenda la tratterò in breve. Atanasio, in quel tempo [prima dell'8-9 febbraio 356] vescovo di Alessandria, era insuperbito oltre i limiti concessi dalla sua condizione episcopale e, come riferivano dicerie continue, aveva posto mano ad atti divinatorie estranee [al cristianesimo]; un'assemblea [ad Arles: ottobre 353; a Milano: inizio 355] cui partecipavano molti del suo stesso grado (la chiamano sinodo) lo rimosse dall'impegno comportato dal suo ufficio. Si diceva che, ben esperto di oracoli e di quanto presagiscono gli uccelli augurali, a volte aveva predetto il futuro; inoltre, gli venivano imputati fatti contrastanti con gli intendimenti della sua religione cui era a capo. Liberio, invitato (su comando dell'imperatore) a sottoscrivere la condanna [formulata - 15, 7, 6 - contro Atanasio] di allontanarsi [da Alessandria] la sede in cui esercitava il suo sacerdozio così mostrandosi d'accordo con il parere espresso dagli altri [vescovi ariani], con testardaggine si rifiutava: andava gridando che nefandezza la più grande è condannare un uomo senza averlo né visto né ascoltato, e così in modo manifesto... scalciava contro la volontà dell'imperatore! [Costanzo] sempre ostile ad Atanasio, desiderava moltissimo che questo decreto (pur sapendolo di per sé esecutivo) fosse confermato anche dall'autorità maggiore rappresentata dal vescovo dell'Urbe eterna. Poiché questo non lo ottenne, costituì grossa difficoltà (si aveva paura della folla che bruciava d'amore per lui) trasportare Liberio [a Milano] nel cuore della notte."
(Traduzione di G. Viansino)
Paolo Diacono: Historia Langobardorum - lib.II, 19
"Dehinc undecima provinciarum est Flamminia, quae inter Appenninas Alpes et mare est Adriaticum posita. In qua nobilissima urbium Ravenna et quinque aliae civitates consistunt, quae greco vocabulo Pentapolis appellantur. Constat autem, Aureliam Emiliamque et Flamminiam a constratis viis, quae ab urbe Roma veniunt, et ab eorum vocabulis a quibus sunt constratae talibus nominibus appellari. Post Flamminiam duodecima Picenus occurrit, habens ab austro Appenninos montes, ex altera vero parte Adriaticum mare. Haec usque ad fluvium Piscariam pertendit. In qua sunt civitates Firmus, Asculus et Pinnis et iam vetustate consumpta Adria, quae Adriatico pelago nomen dedit. Huius habitatores cum a Savinis illuc properarent, in eorum vexillo picus consedit, atque hac de causa Picenus nomen accepit."
"L'undicesima provincia è la Flaminia, che è posta fra le Alpi Appennine e il mare Adriatico; in essa è la più nobile delle città, Ravenna, e cinque altre città che con parola greca son dette Pentapoli. E' noto che l'Aurelia, l'Emilia e la Flaminia sono chiamate così dalle strade lastricate che partono da Roma, e che a loro volta presero nome da coloro che le costruirono. Dopo la Flaminia si incontra dodicesima provincia, il Piceno, che ha a sud le Alpi Appenine e dall'altra parte il mare Adriatico. Questa regione si estende fino al fiume Pescara, e vi si trovano le città di Fermo, di Ascoli, di Penna e di Adria, ormai consunta dal tempo, che diede il nome al mare Adriatico. I suoi abitatori giungendo qui dalla terra dei Sabini, portavano nel loro vessillo un picchio da cui il nome di Piceno."
(Traduzione di M. Felisatti)
Paolo Diacono: Historia Langobardorum - lib.VI, 49
"Eoque tempore rex Liutprandus Ravennam obsedit, Classem invasit atque destruxit. Tunc Paulus patricius ex Ravenna misit qui pontificem interemerent; sed Langobardis pro defensione pontificis repugnantibus, Spoletinis in Salario ponte et ex aliis partibus Langobardis Tuscis resistentibus, consilium Ravennantium dissipatum est. Hac tempestate Leo imperator aput Constantinopolim sanctorum imagines depositas incendit Romanoque pontifici similia facere, si imperialem gratiam habere vellet, mandavit. Sed pontifex hoc facere contempsit. Omnis quoque Ravennae exercitus vel Venetiarum talibus iussis uno animo restiterunt, et nisi eos pontifex prohibuisset, imperatorem super se constituere sunt adgressi. Rex quoque Liutprand castra Emiliae, Feronianum et Montembellium, Buxeta et Persiceta, Bononiam et Pentapolim Auximumque invasit. Pari quoque modo tunc et Sutrium pervasit. Sed post aliquot dies iterum Romanis redditum est. Per idem tempus Leo Augustus ad peiora progressus est, ita ut conpelleret omnes Constantinopolim habitantes tam vi quam blandimentis, ut deponerent ubicumque haberentur imagines tam Salvatoris quamque eius sanctae genetricis vel omnium sanctorum, easque in medium civitatis incendio concremari fecit. Et quia plerique ex populo tale scelus fieri praepediebant, aliquanti ex eis capite truncati, alii parte corporis multati sunt. Cuius errori Germanus patriarcha non consentiens, a propria sede depulsus est, et eius in loco Anastasius presbiter ordinatus est."
"A quel tempo re Liutprando assediò Ravenna, e occupò e distrusse Classe. Allora il patrizio Paolo mandò a uccidere il pontefice: ma in difesa del pontefice combatterono i Longobardi, gli Spoletani facendo resistenza sul Ponte Salario, quelli di Toscana in altre parti; il piano dei Ravennati non ebbe così alcun effetto. In quel tempo, a Costantinopoli, l'imperatore Leone fece rimuovere e bruciare le immagini dei santi. Mandò a dire anche al romano pontefice che, se voleva mantenersi nella grazia imperiale, facesse la stessa cosa; ma il pontefice si rifiutò con sdegno. Anche gli eserciti di Ravenna e delle Venezie si opposero con unanime volere a tali ordini, e se non li avesse trattenuti il pontefice, erano intenzionati a darsi essi stessi un altro imperatore. Il re Liutprando occupò allora le città emiliane di Foronovo, Feroniano, Montebello, Persiceto, Busseto, Bologna, la Pentapoli e Osimo. Allo stesso modo allora anche Sutri. Ma dopo qualche giorno la restituì di nuovo ai Romani.
A quel tempo l'imperatore Leone si comportava sempre peggio, così da costringere tutti gli abitanti di Costantinopoli sia con la forza sia con le lusinghe, a rimuovere dovunque si trovassero le immagini del Salvatore, della santa sua Genitrice e di tutti i santi, che faceva poi dare alle fiamme in mezzo alla città. E poichè la maggior parte del popolo esitava a compiere un simile delitto, parecchi ne fece decapitare, e altri furono mutilati nel corpo. E non volendo il patriarca Germano consentire a questo errore, fu cacciato dalla sua sede e in suo luogo fu posto il presbitero Anastasio."
(Traduzione di M. Felisatti)
Gaio Sallustio Crispo: De coniuratione Catilinae - 27
"Igitur C. Manlium Faesulas atque in eam partem Etruriae, Septimium quendam Camertem in agrum Picenum, C. Iulium in Apuliam dimisit, praeterea alium alio, quem ubique opportunum sibi fore credebat. Interea Romae multa simul moliri: consulibus insidias tendere, parare incendia, opportuna loca armatis hominibus obsidere; ipse cum telo esse, item alios iubere, hortari, uti semper intenti paratique essent; dies noctisque festinare, vigilare, neque insomniis neque labore fatigari. Postremo, ubi multa agitanti nihil procedit, rursus intempesta nocte coniurationis principes convocat ad M. Porcium Laecam ibique multa de ignavia eorum questus docet se Manlium praemisisse ad eam multitudinem, quam ad capiunda arma paraverat, item alios in alia loca opportuna, qui initium belli facerent, seque ad exercitum proficisci cupere, si prius Ciceronem oppressisset; eum suis consiliis multum officere."
"Dunque, inviò C. Manlio a Fiesole e nei paesi circostanti dell'Etruria, un certo Settimio da Camerino nella zona del Piceno, Caio Giulio nella Apulia, poi altri ancora in diversi luoghi dove credeva gli sarebbero stati d'aiuto. Frattanto a Roma aveva messo in moto molti piani: tendere agguati ai consoli, preparare incendi, far stanziare uomini armati in luoghi stategici; egli stesso girava armato e ordinava che anche i congiurati lo fossero, esortandoli alla prontezza e all'attenzione; notte e giorno era in azione, vegliava non sentendosi mai stanco, nè per la mancanza di riposo, nè per la fatica. Ma poichè non sortiva niente da tutta quella macchinazione, convocò, nel cuore della notte, i capi della congiura, presso la casa di Marco Porcio Leca; e, di là, dopo essersi lagnato della loro inconcludenza, li informò di aver posto Manlio a capo di quella banda, che aveva l'incarico di prendere le armi; comunicò poi che aveva dislocato altri uomini in altrettanti luoghi opportuni, affinchè dessero inizio alle ostilità; infine disse che avrebbe raggiunto l'esercito solamente quando avessero soppresso Cicerone: costui, infatti, rappresentava un grosso ostacolo per i suoi piani."
(Traduzione di F. Casorati, S. Perezzani, S. Usai)
Paolo Diacono: Historia Langobardorum - lib.II, 20
"Porro tertia decima Valeria, cui est Nursia adnexa, inter Umbriam et Campaniam Picenumque consistit. Quae ab oriente Samnitum regionem adtingit Huius pars occidua, quae ab urbe Roma initium capit, olim ab Etruscorum populo Etruria dicta est. Haec habet urbes Tiburium, Carsiolim, Reate, Furconam et Amiternum regionemque Marsorum et eorum lacum qui Fucinus appellatur. Marsorum quoque regionem ideo intra Valeriam provinciam aestimo conputari, quia in catalogo provinciarum Italiae minime ab antiquis descripta est. Si quis autem hanc per se provinciam esse vera ratione conprobaverit, huius rationabilis sententia modis erit omnibus tenenda. Quarta decima Samnium inter Campaniam et mare Adriaticum Apuliamque, a Piscaria incipiens, habetur. In hac sunt urbes Theate, Aufidena, Hisernia et antiquitate consumpta Samnium, a qua tota provincia nominatur, et ipsa harum provinciarum caput ditissima Beneventus. Porro Samnites nomen accepere olim ab hastis, quas ferre solebant quasque Greci saynia appellant."
"La tredicesima provincia è la Valeria, cui è annessa la Norcia, fra l'Umbria, la Campania e il Piceno, e che ad oriente confina per un tratto anche col Sannio. La sua parte occidentale, che inizia dalla città di Roma, un tempo era detta Etruria, dal popolo degli Etruschi. Comprende le città di Tivoli, di Rieti, di Carsoli, di Furconia, di Amiterno, la regione dei Marsi e il loro lago chiamato Fucino. Credo che anche la regione dei Marsi si debba considerare parte della provincia Valeria, poiché non è stata iscritta dagli antichi nel catalogo delle province d'Italia. Solo se qualcuno potrà dimostrare con validi argomenti che questa è una provincia a sé, si dovrà allora ragionevolmente tener conto di questo diverso parere.
La quattordicesima è il Sannio, fra la Campania, il mare Adriatico e la Puglia, che ha inizio dal fiume Pescara. Vi sono le città di Chieti, Aufidena, Isernia, Sannio, ormai vecchia e cadente, da cui prende il nome tutta la provincia, e la loro capitale, la ricchissima Benevento. I Sanniti presero il nome dalle lance che erano soliti portare, e che i greci chiamano samia."
(Traduzione di M. Felisatti)
Gaio Sallustio Crispo: De coniuratione Catilinae - 30
"Post paucos dies L. Saenius senator in senatu litteras recitavit, quas Faesulis adlatas sibi dicebat, in quibus scriptum erat C. Manlium arma cepisse cum magna multitudine ante diem VI. Kalendas Novembris. Simul, id quod in tali re solet, alii portenta atque prodigia nuntiabant, alii conventus fieri, arma portari, Capuae atque in Apulia servile bellum moveri. Igitur senati decreto Q. Marcius Rex Faesulas, Q. Metellus Creticus in Apuliam circumque ea loca missi ii utrique ad urbem imperatores erant, impediti, ne triumpharent, calumnia paucorum, quibus omnia honesta atque inhonesta vendere mos erat -, sed praetores Q. Pompeius Rufus Capuam, Q. Metellus Celer in agrum Picenum iisque permissum, uti pro tempore atque periculo exercitum conpararent. Ad hoc, si quis indicavisset de coniuratione, quae contra rem publicam facta erat, praemium servo libertatem et sestertia centum, libero inpunitatem eius rei et sestertia ducenta itemque decrevere, uti gladiatoriae familiae Capuam et in cetera municipia distribuerentur pro cuiusque opibus, Romae per totam urbem vigiliae haberentur iisque minores magistratus praeessent."
"Pochi giorni dopo il senatore Lucio Senio lesse in Senato una lettera che diceva aver ricevuto da Fiesole e che conteneva queste notizie: il 27 ottobre C. Manlio aveva inpugnato le armi e con lui un grande numero di uomini. Nello stesso tempo, come accade in simili circostanze, chi riferiva prodigi, chi assembramenti di truppe, trasoprto di armi, la rivolta degli schiavi a Capua e nell'Apulia.
Dunque, in forza di un decreto del Senato, vennero mandati Quinto Marcio Re a Fiesole, Quinto Metello Cretico nell'Apulia e luoghi vicini; a questi due generali era stato impedito l'ingresso trionfale in Roma, per le calunnie di pochi e la corruzione diffusa. Furono inviati pure, in qualità di pretori, Quinto Publio Rufo a Capua e Quinto Metello Celere nel territorio del Piceno, con ampio potere decisionale sui movimenti dell'esercito, date le circostanze di pericolo. A questo scopo, se qualcuno avesse fornito notizie sulla congiura intentata contro lo Stato, avrebbe ricevuto in premio la libertà e 100.000 sesterzi, se servo; se libero, l'impunità e 200.000 sesterzi. Fu pure decretato di dislocare a Capua e in altri municipi compagnie di gladiatori, secondo la loro disponibilità; di distribuire per tutta Roma delle sentinelle coordinate dai magistrati minori."
(Traduzione di F. Casorati, S. Perezzani, S. Usai)
Lucio Anneo Floro: Epitomae Historiae Romanae Flori - lib. I, 19, 1
"Omnis mox Italia pacem habuit: quid enim post Tarentum auderent? nisi quod ultro persequi socios hostium placuit. Domiti ergo Picentes et caput gentis Asculum Sempronio duce, qui tremente inter proelium campo Tellurem deam promissa aede placavit."
"Poco dopo tutta l'Italia ebbe la pace - che cosa infatti potevano osare dopo Taranto? - se non che, di nostra iniziativa, si decise di punire gli alleati dei nemici. Furono perciò sottomessi i Picenti e Ascoli, città principale di quella popolazione, sotto la guida di Sempronio, che, poiché la terra aveva tremato durante la battaglia, placò la dea Tellus con la promessa di un tempio."
(Traduzione di G. Nepi)
Tiberio Cazio Asconio Silio Italico: Punica - lib. V, 208-215
"Primae Picentum, rupto ceu turbine fusa
agmina et Hannibalem ruere ut uidere, cohortes
inuadunt ultro et poenas pro morte futura,
turbato uictore, petunt accensa iuuentus,
et uelut erepto metuendi libera caelo
manibus ipsa suis praesumpta piacula mittit.
funditur unanimo nisu et concordibus ausis
pilorum in Poenos nimbus, ..."
"Per prime le coorti dei Piceni passano all'attacco, appena vedono Annibale avanzare con le schiere in azione, come esplode un turbine in cielo; e quei giovani audaci vanno incontro alla morte dopo aver scompigliato le scheire del vincitore; liberi dal timore, come se fossero già destinati alla morte, mandano in anticipo vittime ai loro Mani per espiazione delle colpe. Un nembo di giavellotti è lanciato con sforzo unanime e impeto concorde contro i Cartaginesi, ..."
Plinio il Vecchio: Naturalis Historia - lib. XV, 4, 15-18
"Omnino invictus error et publicus tumore olivae crescere oleum existimandi, cum praesertim nec magnitudine copiam olei constare indicio sint quae regiae vocantur, ab aliis maiorinae, ab aliis babbiae, grandissimae alioqui, minimo suco. et in Aegypto carnosissimis olei exiguum, Decapoli vero Syriae perquam parvae, nec cappari maiores, carne tamen commendantur.
Quam ob causam Italicis transmarinae praeferuntur in cibis, cum oleo vincantur, et in ipsa Italia ceteris Picenae et Sidicinae. sale illae privatim condiuntur et ut reliquae amurca sapave, nec non aliquae oleo suo et sine arcessita commendatione purae innatant, colymbades. franguntur eaedem herbarumque viridium sapore condiuntur. fiunt et praecoques ferventi aqua perfusae quamlibeat inmaturae; mirumque dulcem sucum olivas bibere et alieno sapore infici. Purpureae sunt et in iis, ut uvis, in nigrum colorem transeuntibus posis. sunt et superbae praeter iam dicta genera. sunt et praedulces, per se tantum siccatae uvisque passis dulciores, admodum rarae in Africa et circa Emeritam Lusitaniae.
Oleum ipsum sale vindicatur a pinguitudinis vitio. cortice oleae conciso odorem accipit. medicatio alias ut vino; palati gratia nulla est nec tam numerosa differentia: tribus ut plurimum bonitatibus distat. odor in tenui argutior, et is tamen etiam in optimo brevis."
"E' certamente un errore duro a morire e assai comune quello di credere che l'olio cresca quando l'oliva si gonfia, tanto più che a provare che l'abbondanza d'olio non dipende dalla grandezza ci sono le olive dette "regie" o altrimenti maiorinae, o babbiae, in genere molto grosse, ma con pochissimo succo. Anche in Egitto le olive più carnose hanno poco olio, mentre nella Decapoli di Siria le olive, straordinariamente piccole, non più grandi dei capperi, si raccomandano tuttavia per la loro polpa. Per questo motivo le olive d'oltremare sono preferite a tavola a quelle prodotte in Italia, benché il loro olio sia di minor pregio, e, nella stessa Italia, le olive del Piceno e del territorio di Teano sono preferite a tutte le altre. Quelle, in particolare, vengono messe nel sale e, come le altre, nella morchia o nel mosto cotto, alcune anche nel loro olio così come sono, senza aggiunte estranee. Le colymbades stanno a bagno in salamoia. Esse vengono triturate ed insaporite con delle erbe verdi. Anche le primaticce vengono bagnate con acqua bollente, ancorché non giunte a perfetta maturazione. Desta meraviglia il fatto che le olive assorbono il succo dolce e si imbevono di altri sapori. Ci sono olive purpuree e fra queste, come le uve, le posiae divengono di color nero. Oltre a quelle già nominate ci sono anche le "superbe". Ve ne sono poi di dolcissime: si essicano spontaneamente e sono più dolci delle uve passe, assai rare, in Africa e nei dintorni di Emerita, in Lusitania.
E' con il sale che l'olio stesso è preservato dal difetto d'essere grosso. Se si incide la scorza dell'olivo, l'olio prende un profumo. Non c'è altra possibilità di corregerne il gusto, come per il vino, né ci sono tante differenze: se ne individuano, al massimo, tre qualità. L'odore è più acuto nell'olio sgrassato, ma di breve durata anche nel migliore."
(Traduzione di F. Della Corte)
Giulio Ossequente: Prodigiorum Liber - p. 172, Rossbach
"L. Iulio Caesare P. Rutilio coss.
Metella Caecilia somnio Iunonem Sospitam profugientem, quod immunde sua templa foedarentur, cum suis precibus aegre revocatam diceret, aedem matronarum sordidis obscenisque corporis coinquinatum ministeriis, in qua etiam sub simulacro deae cubile canis cum fetu erat, commundatam supplicationibus habitis pristino splendore restituit. A Picentibus Romani barbaro more excruciati. Ubique in Latio clades accepta. Rutilius Lupus spretis religionibus cum in extis caput non invenisset iocineris, amisso exercitu in proelio occisus."
"Sotto il consolato di Lucio Giulio Cesare e Publio Rutilio
Cecilia Metella raccontò di aver sognato che Giunone Sospita stava scappando perché il suo tempio era stato contaminato e che dalle sue preghiere era stata indotta con difficoltà a ritornare. Metella pulì il tempio, che era stato insozzato dai vili bisogni umani delle matrone, e nel quale - sotto la grande immagine della divinità - una cagna aveva la sua tana e i suoi cuccioli; furono (nuovamente) istituite le cerimonie di preghiera e il tempio ritornò al suo lustro originale. I Romani furono barbaramente trucidati dai Piceni. Il disastro imperversò ovunque nel Lazio. Rutilio Lupo, disprezzati i segni religiosi, non avendo trovato la parte superiore del fegato nelle viscere, perso l'esercito, morì in battaglia."
Cicerone: Epistulae ad familiares - lib. XVI, 12
"Scr. Capuae IV Kal. Febr. an. 705
TULLIUS S. D. TIRONI SVO
Quo in discrimine versetur salus mea et honorum omnium atque universae rei p. ex eo scire potes quod domos nostras et patriam ipsam vel diripiendam vel inflammandam reliquimus. in eum locum res deducta est ut, nisi qui deus vel casus aliquis subvenerit, salvi esse nequeamus.
Equidem ut veni ad urbem, non destiti omnia et sentire et dicere et facere quae ad concordiam pertinerent; sed mirus invaserat furor non solum improbis sed etiam iis qui boni habentur, ut pugnare cuperent me clamante nihil esse bello civili misenus. itaque cum Caesar amentia quadam raperetur et oblitus nominis atque honorum suorum Ariminum, Pisaurum, Anconam, Arretium occupavisset, urbem reliquimus, quam sapienter aut quam fortiter nihil attinet a disputari.
Quo quidem in casu simus vides. feruntur omnino condiciones ab illo, ut Pompeius eat in Hispaniam, dilectus qui sunt habiti et praesidia nostra dimittantur; se ulteriorem Galliam Domitio, citeriorem Considio Noniano (his enim obtigerunt) traditurum; ad consulatus petitionem is se venturum, neque se iam velle absente se rationem haberi suam; se praesentem trinum nundinum petiturum. accepimus condiciones, sed ita, ut removeat praesidia ex iis locis quae occupavit, ut sine metu de his ipsis condicionibus
Romae senatus haberi possit. id ille si fecerit, spes est pacis, non honestae (leges enim imponuntur); sed quidvis est melius quam sic esse ut sumus. sin autem ille suis condicionibus stare noluerit, bellum paratum est, eius modi tamen quod sustinere ille non possit, praesertim cum a suis condicionibus ipse fugerit; tantum modo ut eum intercludamus ne ad urbem possit accedere, quod sperabamus fieri posse. dilectus enim magnos habebamus putabamusque illum metuere, si ad urbem ire coepisset, ne Gallias amitteret, quas ambas habet inimicissimas praeter Transpadanos, ex Hispaniaque sex legiones et magna auxilia Afranio et Petreio ducibus habet a tergo. videtur, si insaniet, posse opprimi, modo ut urbe salva. maximam autem plagam accepit quod, is qui summam auctoritatem in illius exercitu habebat, T. Labienus socius sceleris esse noluit. reliquit illum et est nobiscum multique idem facturi esse dicuntur.
Ego adhuc orae maritimae praesum a Formiis. nullum maius negotium suscipere volui, quo plus apud illum meae litterae cohortationesque ad pacem valerent. sin autem erit bellum, video me castris et certis legionibus praefuturum. habeo etiam illam molestiam, quod Dolabella noster apud Caesarem est. haec tibi nota esse volui; quae cave ne te perturbent et impediant valetudinem tuam.
Ego A. Varroni, quem quom amantissimum mei cognovi tum etiam valde tui studiosum, diligentissime te commendavi, ut et valetudinis tuae rationem haberet et navigationis et totum te susciperet ac tueretur. quem omnia facturum confido; recepit enim et mecum locutus est suavissime. tu quoniam eo tempore mecum esse non potuisti, quo ego maxime operam et fidelitatem desideravi tuam, cave festines aut committas ut aut aeger aut hieme naviges. numquam sero te venisse putabo, si salvus veneris. adhuc neminem videram qui te postea vidisset quam M. Volusius, a quo tuas litteras accepi. quod non mirabar; neque enim meas puto ad te litteras tanta hieme perferri. sed da operam ut valeas et, si valebis, cum recte navigari poterit, tum naviges. Cicero meus in Formiano erat, Terentia et Tullia Romae.
Cura ut valeas.
IIII Kal. Febr. Capua."
"Capua, 27 gennaio 49
TULLIO SALUTA IL SUO TIRONE
Da questo puoi capire in quale situazione critica versa la salvezza mia, quella di tutti i cittadini per bene nonché quella dell'intero stato: abbiamo abbandonato al saccheggio e all'incendio la nostra casa e la patria stessa. Le cose sono giunte a tal punto che, se non interviene in aiuto un qualche dio o un qualche caso, non ci può essere salvezza per noi.
Per parte mia, da quando sono arrivato nelle vicinanze di Roma, i miei pensieri, le mie parole e le mie azioni hanno avuto di mira sempre e soltanto la pacificazione. Ma una follia incontenibile si era impadronita non solo dei criminali, ma anche di quelli che passano per onesti, spingendoli a desiderare lo scontro armato, mentre io gridavo che la sventura peggiore di tutte è la guerra civile. Così, quando Cesare, in preda a una specie di pazzia, dimentico del nome e delle cariche ricoperte, si impossessò di Rimini, Pesaro, Ancona e Arezzo, abbiamo lasciato Roma: quanto saggiamente o quanto coraggiosamente, non serve discuterne.
Vedi dunque in quale situazione ci troviamo. In sostanza è lui a dettare le condizioni per un accordo: Pompeo vada in Spagna, le truppe arruolate e le nostre guarnigioni vengano smobilitate; da parte sua, consegnerà a Domizio la Gallia ulteriore, la citeriore a Considio Noniano (così infatti ha stabilito il sorteggio) e verrà di persona per l'elezione al consolato senza più esigere che si tenga conto della sua candidatura anche se è lontano da Roma; sarà presente inoltre per i ventiquattro giorni della campagna elettorale. Abbiamo accettato le sue condizioni, ma a patto che ritiri le guarnigioni dalle località occupate: solo così il senato potrà riunirsi senza timori a Roma per discutere proprio dei termini da lui dettati. Se lui farà così, c'è una speranza di pace, anche se di una pace poco onorevole, dato che le leggi ci sono imposte; ma qualunque cosa è migliore della nostra attuale situazione. D'altra parte, se lui non vorrà attenersi alle sue stesse condizioni, c'è già pronta la guerra; una guerra però che lui non sarà in grado di sostenere, specie se avrà rinnegato le proprie condizioni. Dobbiamo soltanto bloccare la sua marcia di avvicinamento a Roma, sperando che ci sia possibile. In effetti, i nostri reclutamenti danno buoni risultati; e riteniamo che lui abbia paura, iniziando la marcia verso la città, di perdere le Gallie, che gli sono entrambe ostilissime, a parte i Transpadani; inoltre ha alle spalle le sei legioni e le consistenti truppe ausiliarie provenienti dalla Spagna, che sono al comando di Afranio e Petreio. Se agirà da pazzo, potrà forse essere schiacciato, sempre che la città non subisca danno. Ha subito del resto un durissimo colpo perché Tito Labieno, l'uomo che godeva della più grande autorità nel suo esercito, non ha voluto essergli complice nel crimine. Lo ha abbandonato ed è passato dalla nostra parte; e, a quanto si dice, molti stanno per fare la stessa scelta.
Io per ora, da Formia, tengo sotto controllo la costa. Non ho voluto assumere un incarico di maggiore rilievo perché le mie lettere e le mie esortazioni alla pace abbiano più valore per lui. Se invece ci sarà la guerra, prevedo che sarò a capo di un accampamento e di determinate legioni. Mi affligge anche il pensiero che il nostro Dolabella sta con Cesare.
Ho voluto che questi fatti ti fossero noti: ma essi non devono metterti in agitazione e ostacolare la tua guarigione. Io ti ho raccomandato con ogni cura ad Aulo Varrone, che so affezionatissimo a me e anche molto sollecito per te: gli ho scritto di preoccuparsi della tua salute e del viaggio per mare, e di assumersi la responsabilità di vegliare in tutto su di te. Sono sicuro che farà tutto il possibile: me lo ha garantito e si è espresso con me in termini di grande cordialità.
Tu non puoi essere con me nel momento in cui sento un grandissimo bisogno della tua fedele collaborazione; ma non per questo devi farti fretta e metterti in mare ancora indisposto o col cattivo tempo. Non penserò mai che tu sia venuto troppo tardi se giungerai completamente ristabilito. Dopo Marco Volusio, dal quale ho ricevuto una tua lettera, non ho finora incontrato nessuno che ti abbia visto; ma non mi stupisco: con una stagione così inclemente credo che neppure le mie lettere ti arrivino. Ma cerca di star bene e se sarai ristabilito, quando si potrà navigare senza pericoli, solo allora mettiti per mare. Il mio Cicerone si trova nella villa di Formia, Terenzia e Tullia a Roma.
Stammi bene.
Capua, 27 gennaio."
(Traduzione di A. Russo)
Plinio il Vecchio: Naturalis Historia - lib. XXVII, 3, 83
"Natrix vocatur herba, cuius radix evulsa virus hirci redolet. hac in Piceno feminis abigunt quos mira persuasione Fatuos vocant; ego species lymphantium hoc modo animorum esse crediderim, quae tali medicamento iuventur."
"Si chiama natrice un'erba la cui radice, strappata, puzza di capro. Nel Piceno, con questa erba, allontanano dalle donne quegli spiriti che, per una singolare credenza, vengono chiamati Fatui; io penserei piuttosto che siano le visioni delle menti deliranti a trarre giovamento da questo rimedio."
(Traduzione di A. Aragosti, P. Cosci, A. M. Cotrozzi, M. Fantuzzi, F. Lechi)
Liber Coloniarum: lib. II, p.257 L
"Pisaurensis ager finitur rivorum riparum fluminum cursu, terminorum fide, et palis sacrificalibus, sicut in provincia Piceni."
"Il territorio pesarese è delimitato dal corso dei ruscelli e dalle sponde dei fiumi, dalla testimonianza dei cippi di confine, e dai pali del sacrificio, così come nella provincia del Piceno."
Guidone: Geographica - 21, p. 462 dell'edizione di M. Pinder e G. Parthey, Berlino 1860.
Nota alla lettura del testo: l'itinerario è stato tramandato da più codici, alcuni dei quali riportano varianti nei nomi di luogo. Le differenti redazioni sono qui riportate tra parentesi.
"Item Cesarea
Classis
Ariminum
Pisaurum (nei codici b - f si legge Pesaurum)
Fanum
Senegallia quae et Senogallia (nei codici m - r si legge Senagallia; nel codice b Senagalia)
Sextia
Ancona (nei codici b - f si legge Anchona)
Humana
Potentia (nel codice f si legge Potencia)
Sacrata
Floxor (nel codice f si legge Fleror)
Pausulas
Pensas
Sabinis (nel codice f si legge Sibinis)
Asculum
[...]"
Guidone: Geographica - 69-70, pp. 504-505 dell'edizione di M. Pinder e G. Parthey, Berlino 1860.
"INCIPIT LIBER DESCRIPTIONIS TOTIUS MARIS.
Si subtilius scire voluerit totas circumquaque parte per litora maris positas ordinatim unam post alteram, quamquam eas iam in propriis patrias nominaverim, tamen reiterans Chiristo favente minutius designabo, incipiens ab urbe
Ravenna
Classis
Ariminum
Pensaurum
Fanum
Senecalia quae Senegallia
Sextia
Anchona
Numana
Petentia
Sacraria
Floxora
Pausula
Inna
Firmum
Cupra
Troentina
Peturnum
Castrum Novum
[...]"
Anonimo Ravennate: Cosmographia - lib. IV, 31, pp. 258-259 dell'edizione di M. Pinder e G. Parthey, Berlino 1860.
"[...]
Ravenna nobilissima, in qua licet idiota ego huius cosmographiae expositor Christo adiuvante genitus sum, item civitas
Caesarea
Classis
Ariminum
Pensaurum
Fanum
Senogalia
Sextia
Ancona
Humana
Potentia
Sacrata
Floxo
Pausas
Pinna
Sabina
Asculum
[...]"
Caio Giulio Cesare: Commentarii de bello civili - lib.I, 11
"Erat iniqua condicio postulare, ut Caesar Arimino excederet atque in provinciam reverteretur, ipsum et provincias et legiones alienas tenere; exercitum Caesaris velle dimitti, delectus habere; polliceri se in provinciam iturum neque, ante quem diem iturus sit, definire, ut, si peracto consulatu Caesar profectus esset, nulla tamen mendacii religione obstrictus videretur; tempus vero colloquio non dare neque accessurum polliceri magnam pacis desperationem afferebat. Itaque ab Arimino M. Antonium cum cohortibus V Arretium mittit; ipse Arimini cum duabus subsistit ibique delectum habere instituit; Pisaurum, Fanum, Anconam singulis cohortibua occupat."
"Era un'ingiustizia pretendere che Cesare lasciasse Rimini e tornasse nella sua provincia, mentre lui teneva le provincie e le legioni che non gli appartenevano; volere che si congedasse l'esercito di Cesare, e continuare per sé gli arruolamenti; promettere che sarebbe andato nella sua provincia, ma non fissare la data della partenza, così che, se non fosse partito una volta terminato il proconsolato di Cesare, non lo si sarebbe potuto accusare di aver mancato alla promessa; d'altra parte il non offrire occasione per un colloquio e il non impegarsi a venire lui stesso facevano assai disperare alla pace. Cesare manda dunque Marco Antonio con cinque coorti da Rimini ad Arezzo; egli con due si ferma a Rimini e vi organizza un arruolamento; occupa Pesaro, Fano e Ancona con una coorte per ciascuna città."
(Traduzione di F. Brindesi, E. Barelli, G. Bruno, L. Loreto)
Marco Vitruvio Pollione: De Architectura - lib.II, VII, 1
"De calce et harena, quibus varietatibus sint et quas habeant virtutes, dixi. Sequitur ordo de lapidicinis explicare, de quibus et quadrata saxa et caementorum ad aedificia eximuntur copiae et conparantur. Haec autem inveniuntur esse disparibus et dissimilibus virtutibus. Sunt enim aliae molles, uti sunt circa urbem Rubrae, Pallenses, Fidenates, Albanae; aliae temperatae, uti Tiburtinae, Amiterninae, Soractinae et quae sunt his generibus; nonnullae durae, uti siliceae. Sunt etiam alia genera plura, uti in Campania rubrum et nigrum tofum, in Umbria et Piceno et in Venetia albus, quod etiam serra dentata uti lignum secatur."
"Ho detto sulla calce e sulla rena, quali sono le loro varietà e i loro pregi. Tocca ora parlare delle cave di pietra, donde si traggono e si raccolgono per la costruzione e i sassi quadrati e quelli grezzi. Queste pietre hanno caratteristiche svariatissime e opposte. Alcune sono molli, come presso Roma le Rubre, le Pallensi, le Fidenati, le Albane; le altre mediane come le Tibertine, le Amiternine, le Sorattine e simili; alcune dure come le silicee. Vi sono anche molte altre specie, come in Campania e i tufi rossi e neri, nell'Umbria, Piceno e Venezia quello bianco che si sega come il legno."
(Traduzione di S. Ferri)
Scriptores Historiae Augustae: Historia Augusta - Tyranni triginta, 24, 5
"Pudore tamen victus vir nimium severus eum, quem triumphaverat, conrectorem totius Italiae fecit, id est Campaniae, Samni, Lucaniae Brittiorum, Apuliae Calabriae, Etruriae atque Umbriae, Piceni et Flaminiae omnisque annonariae regionis, ac Tetricum non solum vivere, sed etiam in summa dignitate manere passus est, cum illum saepe collegam, nonnumquam commilitionem, aliquando etiam imperatorem appellaret."
"Tuttavia poi, sopraffatto dal rimorso, quell'uomo fin troppo severo nominò colui che aveva umiliato nel suo trionfo governatore di tutta l'Italia, cioè di Campania, Sannio, Lucania-Bruzio, Apulia-Calabria, Etruria e Umbria, Piceno e Flaminia e dell'intera regione annonaria, e lasciò che Tetrico non solo rimanesse in vita, ma anche continuasse ad occupare una posizione di grande prestigio, chiamandolo spesso collega, talvolta commilitone, a volte persino imperatore."
(Traduzione di P. Soverini)
Siculo Flacco: De condicionibus agrorum - p. 100 dell'edizione di C. Thulin, Corpus agrimensorum Romanorum, Lipsia 1913.
"Ut vero Romani omnium gentium potiti sunt, agros ex hoste captos in victorem populum partiti sunt. Alios vero agros vendiderunt, ut Sabinorum ager qui dicitur quaestorius, eum limitibus actis diviserunt, et denis [quibusdam] quibusque actibus laterculis quinquagena iugera incluserunt, atque ita per quaestores populi Romani vendiderunt. Postquam agro maiores regiones ex hoste captae vacare coeperunt, alios agros diviserunt adsignaverunt: alii ita remanserunt, ut tamen populi Romaniterritoria essent; ut est in Piceno, in regione Reatina, in quibus regionibus montes Romani appellantur. Nam sunt populi Romani territoria, quorum vectigal ad aerarium pertinet."
"Quando i Romani divennero i dominatori di tutte le genti, spartirono all’interno del popolo vincitore le terre sottratte al nemico. Vendettero invece altre terre, come il territorio dei Sabini che è chiamato “questorio”: tracciati i confini, lo divisero, inclusero cinquanta iugeri in appezzamenti di dieci actus quadrati e così lo fecero vendere dai questori del popolo romano. Dopo che più estese regioni tolte al nemico cominciarono a svuotarsi, divisero ed assegnarono alcune terre, altre invece rimasero, ma nella condizione di territori del popolo romano, come nel Piceno e nella regione di Rieti, dove i monti sono chiamati Romani. Sono infatti territori del popolo romano quelli le cui rendite spettano all’erario pubblico."
(Traduzione di L. Lattanzi)
Marco Gavio Apicio: De re coquinaria - IV, I, 2
"ALITER SALA CATTABIA APICIANA: adicies in mortario apii semen, puleium aridum, mentam aridam, gingiber, coriandrum viridem, uvam passam enucleatam, mel, acetum, oleum et vinum, conteres. Adicies in caccabulo panis Picentini frusta, interpones pulpas pulli, glandulas haedinas, caseum Vestinum, nucleos pinos, cucumeres, cepas aridas minute concisas. Ius supra perfundes. Insuper nivem sub hora asparges et inferes."
"Altra salsa di vaso tipica di Apicio: metti in un mortaio semi di sedano, puleggio secco, menta secca, zenzero, coriandolo verde, chicchi d'uva appassita, miele, aceto, olio e vino. Trita il tutto. Getta nel pentolino pezzi di pane picentino. Mescolando la polpa di pollo, le ghiandole di capretto, il formaggio vestino, pinoli, cocomero, cipolle secche tagliate a piccoli pezzi. Versaci sopra ciò che hai preparato. Poni il vaso sopra il ghiaccio tritato e servi."
(Traduzione di C. Vesco)
Edictum de pretiis rerum venalium - II, 1
"Item de vinis:
Piceni,
Italicum s(extarium) unum,
(denarios) triginta."
"Genere dei vini:
Piceno,
per sestario d'Italia (circa mezzo litro),
denari 30."
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