Regio V - Picenum
  Cupra Montana
 
CUPRA MONTANA - CUPRAMONTANA (AN)

   Il centro romano di Cupra Montana, collocato sulla destra del fiume Esino lungo la media valle fluviale, fu menzinato da Tolomeo (III 1, 52) e Plinio il Vecchio (Nat. Hist. III, 111) tra i municipi della regio V.
   L'area della città antica si estendeva su un pianoro, collocato lungo il pendio collinare, immediatamente ad est dell'attuale abitato di Cupramontana, nel territorio della pieve di San Eleuterio.
   L'origine della città, come indicherebbe anche il poleonimo, andrebbe presumibilmente ricercata con la presenza già in antico di un luogo di culto consacrato alla dea Cupra; il santuario di cui non è determinabile l'esatta collocazione, nonostante la sopravvivenza del toponimo "Poggio Cupro" indichi verosimilmente la sua esistenza in questa località, dovette giocare un ruolo centrale, in quanto sede di una delle principali divinità venerate dai Piceni.
   In seguito, l'area del futuro municipium, fu interessata dalle deduzioni viritane sancite dalla lex Flaminia del 232 a.C., come attesta un'iscrizione su patera bronzea della fine del III sec. a.C. e menzionante un pagus (CIL IX 5699). Elevata al rango di municipium non prima della metà del I sec. a.C., fu ascritta alla tribù Velina e governata da un collegio di duumviri, carica nota da un'epigrafe (CIL IX 5707).
   La frammentarietà delle sopravvivenze archeologiche e l'assenza di indagini sistematiche, non hanno permesso di ricostruire l'originario piano urbanistico di età romana. Tra le poche strutture ancora superstiti, vi è una cisterna per l'approvvigionamento idrico, nota come "il Barlozzo": si conserva lungo l'odierna via Bovio, riutilizzata come abitazione privata. Si presenta come una struttura a pianta rettangolare di 19 m x 10 m di lato con muri perimetrali in opus caementicium, rivestiti da uno strato di cocciopesto; all'interno l'ambiente era diviso da un setto centrale ad arconi, che formava due vani voltati alti oltre 5 m. In epoca romana, la struttura che era dotata di un'ulteriore sopraelevazione e si trovava su di uno dei luoghi più elevati rispetto alla restante area cittadina, dovette svolgere la funzione di castellum aquae, servita da due acquedotti, dei quali sono stati individuati dei cunicoli nel Settecento. Dunque era da questa struttura che il municipium traeva la propria fornitura idrica.  
   In località Palazzi, invece, sono stati rinvenuti i resti di un impianto termale con pavimentazione in opus spicatum e a mosaico. Nella stessa contrada furono messe in luce alcune testimonianze pertinenti ad un edificio sacro, identificato in passato come il tempio della dea Cupra: si tratta di cornici modanate, parte di una colonna e grandi blocchi squadrati, alcuni dei quali ancora visibili lungo via Pieve. Di incerta interpretazione risulta inoltre una struttura dal perimetro circolare del diametro di circa 120 m, la cui identificazione con l'anfiteatro cittadino sembra essere piuttosto plausibile.   Sempre incerta è la destinazione d'uso di un edificio a pianta rettangolare di 17 m x 19 m con alzati in opus caementicium e paramento in opus latericium, su cui si innesta una moderna casa colonica, lungo la medesima via Pieve. Infine, lungo il limite meridionale dell'insediamento, doveva estendersi una zona di necropoli, mentre è degno di menzione l'istituto degli alimenta (istituzione che elargiva sussidi di assistenza ai fanciulli bisognosi), testimoniato da un'epigrafe con dedica all'imperatore Titus Aelius Hadrianus Antoninus Pius (CIL IX 5700).

DOCUMENTI EPIGRAFICI:

Abbreviazioni:

CIL= Corpus Inscriptionum Latinarum

CIL IX 5708; CIL IX 5710; CIL IX 5712; CIL IX 5714; CIL IX 5727; CIL IX 5716; CIL IX 5725; CIL IX 5729; CIL IX 5728; CIL IX 5727; CIL IX 5713; CIL IX 5699; CIL IX 5705; CIL IX 5709; CIL IX 5711; CIL IX 5704; CIL IX 5706; CIL IX 5715; CIL IX  5703; CIL IX 5726; CIL IX 5717; CIL IX 5724; CIL IX 5723; CIL IX 5722; CIL IX 5721; CIL IX 5720; CIL IX 5719; CIL IX 5718; CIL IX 5707; CIL IX 5702; CIL IX 5701; CIL IX 5700.

BIBLIOGRAFIA:

Annibaldi 1959 c, 979; Tesei 1970; Lilli 2000, 187-222; Polidori 2000, 375-382; Luni 2003, 177; Sisani 308-309.
 
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